La Giunta di governo ha infatti approvato un disegno di legge costituzionale, con il quale si chiede al Parlamento nazionale il riconoscimento al Presidente della Sicilia di funzioni di comando sull’esercito e sulla polizia di stato, sia pure limitatamente al proprio territorio, nei casi di emergenza. Si assommerebbe così nella sua figura un potere che su scala nazionale è diviso tra il Ministero dell’Interno e quello della Difesa. Le implicazioni sono di estrema preoccupazione, tanto più se consideriamo la collocazione geografica della Sicilia nell’area mediterranea, e la presenza nel suo territorio della base militare di Sigonella, oltre al centro satellitare Muos di Niscemi. Tutto ciò avviene nel silenzio dell’Assemblea regionale siciliana e in presenza di media che sembrano militarizzati, anche per la compiacenza di giornalisti trasformatisi in megafono dei rappresentanti di governo con spazi di tribuna concessi ad oppositori inesistenti o di facciata.
Le vicende politiche della Sicilia ci richiamano all’esercizio della memoria, almeno su due questioni.
Da una parte l’uso monopolistico dell’informazione ha fatto le fortune della borghesia mafiosa, delle sue accumulazioni illegali e/o legalizzate, dei comitati d’affare, delle élite politiche legate a Confindustria Sicilia e da essa ricambiate nel sostegno elettorale. Dall’altra non possiamo non denunciare un uso rovesciato, rispetto al Nord lombardo-veneto-emiliano, del meccanismo delle Autonomie differenziate. E’ un tentativo sfrontato, ma ne va colta tutta la sua pericolosità.
La memoria ci porta al secondo dopoguerra, quando ambienti della borghesia isolana e settori importanti della mafia si batterono, anche con la formazione di squadre paramilitari, con la creazione dell’Esercito di volontari per l’Indipendenza della Sicilia, per uno stato siciliano, con l’intento di legarlo agli Usa e non solo economicamente.
Le manovre di Musumeci, con un marcato e mai rinnegato passato fascista, probabilmente sono finalizzate ad un suo posizionamento di rilievo nella destra nazionale, tanto più nella fase aperta dalla crisi del modello lombardo e dall’esplosione imminente della crisi economica.
Così come quelle del sindaco di Messina, per spostare sul terreno di un sicilianismo straccione le contraddizioni e i disagi sociali determinati dalle politiche liberiste, e che hanno portato e stanno portando la maggior parte dei comuni meridionali al dissesto finanziario.
Sullo sfondo resta, rimossa e cinicamente occultata, la condizione della privatizzazione della sanità tramite le convenzioni, con le risorse in grande parte destinate ai privati, e la gestione incontrollata, affidata a manager, funzionale alla riproduzione delle clientele e al consolidarsi degli intrecci affaristico-mafiosi.
L’alternativa non può darsi da esiti politicisti, bensì dalla rottura dell’impianto economico e culturale neoliberista, con la valorizzazione della Costituzione e dell’antifascismo, delle pratiche mutualistiche, del conflitto per il riconoscimento dei diritti sociali e del lavoro, per la incondizionata tutela dei beni pubblici, per un modello economico ecocompatibile.
Occorre da subito riaffermare il primato del pubblico nella sanità, con la messa in opera di tutte le misure per contrastare l’epidemia e per salvaguardare tutte/i le/i cittadine/i, a cominciare da quelle/i più fragili e senza protezione, accompagnando questi interventi con il riconoscimento di un reddito sociale di emergenza, economicamente adeguato, per i precari, i disoccupati, i costretti al lavoro nero e per i lavoratori autonomi colpiti dalla crisi, compresi i migranti.
Mimmo Cosentino, segretario regionale Prc Sicilia