Il nuovo Patto dell’Unione europea su migrazione e asilo, destinato, nelle intenzioni originarie, a rivedere il Sistema europeo comune di asilo, ha suscitato notevoli critiche da parte di esperti e attivisti per i diritti umani, i quali sostengono che i cambiamenti non sono in grado di affrontare adeguatamente i problemi urgenti dei paesi in prima linea, né di sostenere i diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo, bensì di peggiorare le condizioni dei richiedenti asilo e dei rifugiati, senza affrontare i diversi problemi che i flussi migratori presentano soprattutto per i paesi di frontiera esterna dell’Ue.
L’Italia, insieme a Grecia, Malta e Spagna, continua a sostenere il peso della sicurezza delle frontiere esterne dell’Ue e della gestione dei nuovi arrivi e il Patto, che mira a promuovere la solidarietà europea e a prevenire i movimenti secondari di migranti all’interno dell’Ue, non sarà in grado di modificare lo status quo, poiché il criterio del primo paese d’ingresso (il regolamento di Dublino) rimane un principio centrale, che potrebbe anzi portare alla proliferazione di campi simili a Moria lungo le coste italiane e greche.
Il nuovo Patto su migrazione e asilo mira a prevenire i movimenti secondari di migranti all’interno dell’Ue
Diversi critici esprimono una profonda delusione per la forma finale del Patto, evidenziando un difetto di progettazione fondamentale: la mancanza di una valutazione d’impatto preliminare da parte della Commissione Europea, che ha portato a un assemblaggio di testi che rispondono principalmente alle esigenze disparate degli Stati membri, senza un vero equilibrio tra responsabilità e solidarietà. Le misure introdotte, tra cui le procedure obbligatorie alle frontiere e la generalizzazione della detenzione in varie fasi del processo di asilo, segnalano uno spostamento verso pratiche più restrittive di quelle attualmente in vigore, ma non per questo più efficaci nel contrastare la migrazione irregolare. Inoltre, la possibilità i paesi di Visegrad di scegliere di non accettare di farsi carico di ospitare una quota parte dei migranti giunti alle frontiere esterne dell’Ue, pagando un contributo alle spese per la loro espulsione, mina la solidarietà prevista, monetizzando di fatto la libertà altrui e contraddicendo i valori fondanti dell’Ue.
Nel nuovo Patto manca un vero equilibrio tra responsabilità e solidarietà
Tutte queste caratteristiche rendono il Nuovo Patto su migrazione e asilo uno strumento inadeguato ad affrontare i tre aspetti della crisi migratoria particolarmente visibili dal 2015 ed esacerbati negli ultimi anni:
- l’aumento significativo dei flussi migratori innescati dai conflitti in Siria, Iraq e altre regioni, con Paesi come l’Italia, la Grecia e la Spagna che, a causa della loro vicinanza geografica al Nord Africa e al Medio Oriente, sono diventati i primi punti di ingresso per la maggior parte dei migranti e dei rifugiati in cerca di sicurezza e migliori opportunità in Europa;
- l’aspetto umanitario di questa crisi, con innumerevoli individui e famiglie, con minori e bimbi, che rischiano viaggi pericolosi attraverso il Mediterraneo su imbarcazioni spesso non idonee;
- un peso rilevante ed eccessivo della crisi migratoria sui paesi che rappresentano le frontiere esterne dell’Ue, mentre altri Stati membri, lontani da tali frontiere, resistono alle proposte di attuare una distribuzione più equa dei richiedenti asilo in tutta l’Ue, attraverso quote o schemi di ricollocazione finalizzati a suddividere il peso e i rischi di tale situazione.
La narrazione politica spesso ha fatto della disumanizzazione dei migranti una costante
Inoltre, l’Ue ha affrontato altre crisi che si intersecano con la migrazione, come la pandemia Covid-19, che ha temporaneamente portato alla chiusura delle frontiere e ha aumentato i timori per gli spostamenti in Europa, la crisi ucraina che ha portato alla percezione della migrazione come una minaccia usata strumentalmente dalla Bielorussia e gestita come un’arma non convenzionale e la questione in corso del cambiamento climatico, che si prevede aumenterà gli spostamenti a causa di fattori ambientali, in breve una “tempesta perfetta” in grado di sradicare le politiche attuali. Bisogna aggiungere che in ognuno dei tre casi la percezione della migrazione come minaccia attuale o potenziale è stata amplificata, al di là delle sue effettive dimensioni, da leader politici e dai media dei paesi di accoglienza, che l’hanno utilizzata per giustificare controlli più severi alle frontiere, politiche anti-immigrazione e risposte talvolta militarizzate, accompagnate da una narrazione che ha fatto della disumanizzazione dei migranti una caratteristica costante.
Procedure di frontiera obbligatorie e detenzione, preoccupazione per i diritti umani
Venendo più in specifico al Patto sulla migrazione e l’asilo, i regolamenti approvati includono diverse disposizioni controverse. Queste disposizioni, intese a snellire il processo di valutazione delle domande di asilo e di protezione internazionale, hanno sollevato preoccupazioni circa i potenziali abusi dei diritti umani a causa della creazione di condizioni generalizzate di detenzione amministrativa alle frontiere dell’Ue a cui i richiedenti asilo sarebbero sottoposti in numerosi casi, per completare l’identificazione, la registrazione e una valutazione preliminare delle loro richieste. La detenzione dovrebbe essere una misura di ultima istanza, tuttavia in troppi casi essa diventa una misura generalizzata psicologicamente dannosa e spesso non giustificata. I critici esprimono preoccupazione circa l’adeguatezza delle tutele legali previste e la possibilità dei richiedenti asilo detenuti di accedere all’assistenza legale. E i rapporti di diverse organizzazioni umanitarie evidenziano che le condizioni di detenzione e le strutture di frontiera sono spesso al di sotto degli standard internazionali, con un accesso inadeguato ai servizi di base come l’assistenza sanitaria, servizi igienici adeguati e privacy.
Sul trattamento dei minori c’è il dubbio di incompatibilità con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo
Inoltre il nuovo Patto prevede diverse disposizioni che riguardano specificamente i minori, tra le quali il rilevamento delle impronte digitali a partire dai sei anni di età come parte del processo di registrazione e identificazione alle frontiere dell’Ue; la possibilità di detenzione anche per i minori, compresi quelli accompagnati dalle loro famiglie, se i genitori sono sottoposti a procedure di frontiera obbligatorie. La detenzione di minori a fini di controllo dell’immigrazione è ampiamente considerata incompatibile con le leggi internazionali sulla protezione dell’infanzia. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, di cui tutti gli Stati membri dell’Ue sono firmatari, sostiene che la detenzione di minori in base al loro status migratorio dovrebbe essere generalmente evitata e utilizzata solo come misura di ultima istanza.
Il mantenimento della regola del primo paese d’ingresso ad oggi grava su Spagna, Italia, Grecia
La regola del “primo Paese d’ingresso” è un aspetto fondamentale delle politiche di migrazione e di asilo dell’Unione europea, in particolare quelle previste dal Regolamento di Dublino. Questa regola stabilisce che il primo Stato membro dell’Ue in cui un richiedente asilo arriva e viene registrato è responsabile dell’esame della sua domanda di asilo. Il principio ha implicazioni significative, in particolare per i paesi situati ai confini esterni dell’Ue, come Italia, Grecia, Spagna e Malta. La norma, originariamente concepita per evitare il cosiddetto “asylum shopping” – ovvero che un richiedente asilo presenti domanda in più paesi per aumentare le possibilità di ottenere l’asilo e per determinare rapidamente la responsabilità di una domanda di asilo all’interno dell’Ue – è diventato un onere sproporzionato per gli Stati che rappresentano le frontiere esterne dell’Ue. Questi paesi si trovano spesso ad affrontare grandi arrivi a causa della loro vicinanza a zone di conflitto o alle principali rotte utilizzate dai migranti e dai trafficanti di esseri umani. La norma ha comportato notevoli tensioni sui loro sistemi di accoglienza e di asilo, causando spesso condizioni di sovraffollamento e ritardi nel trattamento delle richieste di asilo. I tentativi di riforma che prevedevano l’introduzione di quote o di un meccanismo di ridistribuzione per alleviare la pressione sugli Stati in prima linea sono abortiti, trasformando la solidarietà obbligatoria in un contributo finanziario al rimpatrio dei migranti.
Il “meccanismo di solidarietà” consente di comprare una via d’uscita dall’assunzione di responsabilità per i richiedenti asilo
Il nuovo Patto europeo sulla migrazione e l’asilo introduce un “meccanismo di solidarietà” che ha sollevato notevoli preoccupazioni e dibattiti sulla sua efficacia ed equità. Questo meccanismo consente agli Stati membri dell’Ue, che non vengono toccati dai flussi di primo ingresso, di rifiutarsi di ospitare i richiedenti asilo, contribuendo invece finanziariamente alla gestione dei processi di rimpatrio dei migranti irregolari. L’opzione di opt-out finanziario è criticata perché consente ai paesi più ricchi di comprare la loro via d’uscita dall’assunzione di responsabilità diretta per i richiedenti asilo. I critici sostengono che ciò mina il principio di solidarietà, trasformandolo in una transazione monetaria piuttosto che in un impegno condiviso a sostenere gli esseri umani in difficoltà, facendo permanere un onere sproporzionato per gli Stati in prima linea, come Grecia, Italia e Spagna. Questo meccanismo di solidarietà, in senso pickwickiano, potrebbe esacerbare le tensioni esistenti tra gli Stati membri dell’Ue, con quelli che scelgono l’opt-out finanziario percepiti come non pienamente impegnati in una soluzione collettiva a una sfida comune, il che potrebbe portare a un’ulteriore frammentazione politica e indebolire l’unità dell’Ue sulle questioni migratorie. I sostenitori di una politica migratoria più equa nell’Ue suggeriscono che i contributi finanziari dovrebbero integrare ma non sostituire l’obbligo di ospitare i richiedenti asilo, garantendo che tutti i paesi contribuiscano alla soluzione dei problemi comuni sia dal punto di vista finanziario che operativo.
Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo sembra schiacciato dalla necessità di trovare alternative all’accoglienza
Il nuovo Patto Ue su migrazione e asilo non riesce a rappresentare un tentativo, sia pure controverso, di bilanciare le diverse prospettive e capacità degli Stati membri, quanto sembra schiacciato sulla necessità di trovare alternative al costo dell’accoglienza dei richiedenti asilo minando i principi fondamentali della solidarietà tra i paesi Ue, e i diritti umani dei migranti, senza giungere ad una più efficace politica migratoria che garantisca un’equa condivisione delle responsabilità e promuova l’unità nell’affrontare le sfide migratorie. Per affrontare queste sfide, l’Ue deve impegnarsi in una rivalutazione completa del Patto, considerando sia l’efficacia della politica che l’allineamento con gli standard internazionali sui diritti umani.
Ugo Melchionda – corrispondente per l’Italia dell’International Migration Outlook di OCSE, portavoce e coordinatore di GREI250 e segretario di LAST20-APS