Provo a cercare di fare qualche considerazione sul voto amministrativo del 3 e 4 ottobre scorso. Penso di essere all’altezza, dopo decenni di letture e osservazioni di cose politiche, naturalmente anche questa volta faccio riferimento ad analisti che seguo da tempo.
La sconfitta del centrodestra era annunciata e si è materializzata, almeno per quanto riguarda le grandi città. Per la verità, in provincia, il centrodestra ha guadagnato dei sindaci. Per ora il parziale è di 3 a 0 nelle grandi città, che potrebbe diventare tra due settimane un 5 a 1. Difficile i prossimi ballottaggi di Roma e Torino, troppo ristretto il margine di vantaggio di Michetti su Gualtieri, che può più facilmente pescare tra gli elettori di Calenda e Raggi. Per il centrodestra molte delle sue residue chance dipenderanno dalla capacità non tanto di sedurre gli elettori di Calenda e Raggi (fatica per lo più sprecata), ma di convincere quella metà di romani che è rimasta a casa al primo turno, in particolare nelle periferie.
Hanno scritto che il centrodestra ha sbagliato le candidature. È probabile.
Qualcuno ha pensato di candidare a Milano e a Roma, Salvini e Meloni, che probabilmente avrebbero vinto. Chi sostiene questa tesi però pecca di ingenuità, perché è proprio quello l’esito che desiderava la Sinistra, farli fuori dal campo di gioco nazionale. Al momento, pur con tutti i loro difetti, sono gli unici leader su cui il centrodestra può contare.
Tuttavia, è evidente che servissero candidati politici. “L’impasse sulla scelta dei candidati e le figure inadeguate scelte in ritardo rispetto ai concorrenti denotano una preoccupante incapacità di esprimere una classe dirigente e una mancanza di coraggio nel mettersi in gioco”. (Federico Punzi, La svolta moderata e i candidati “civici” non pagano, l’astensione punisce il centrodestra diviso e incerto, 5.10.21, atlanticoquotidiano.it)
Certamente sul voto ha influito la forte astensione dell’elettorato, che principalmente ha colpito la coalizione del centrodestra. Il dato dell’affluenza, rispetto al voto di cinque anni fa, è crollato a Milano e a Napoli del 7%; a Roma e Bologna del 8%, a Torino del 9%. Questo significa, “che, come opposizione, non hai saputo mobilitare il tuo elettorato potenziale, rappresentare un’alternativa allettante rispetto alle amministrazioni uscenti”. Certo a Milano che bene o male è amministrata, non era facile vincere, ma in una città come Roma completamente allo sbando, si doveva, si poteva fare di più. Qui l’affluenza è in calo soprattutto nelle periferie, dove i cittadini sono più esposti al degrado e ai disservizi, al disagio economico e sociale. Eppure, proprio questi quartieri si sono recati al voto in misura minore rispetto ai municipi del centro, quelli della “sinistra Ztl”.
“Soprattutto nelle periferie, che nel 2016 avevano premiato il Movimento 5 Stelle, l’elettorato che ha abbandonato il sindaco uscente Raggi (come a Torino quello orfano della Appendino) anziché buttarsi a destra, o è tornato a casa (Pd) o a casa (la propria) c’è rimasto, i candidati di destra non sono riusciti a intercettarlo in modo significativo. Vedremo se sapranno fare meglio al ballottaggio”.
Oltre alla debolezza dei candidati, a far allontanare l’elettorato di centrodestra ha influito molto la divisione della coalizione. Due pezzi (FI e Lega) fanno parte del governo Draghi e un pezzo è rimasto all’opposizione (FdI); quindi, divergono nella linea politica e nella comunicazione all’opinione pubblica. La scelta della Lega di entrare nel governo ha alimentato confusione e spaesamento nell’elettorato. “Per fare un esempio, votare in Cdm tutte le restrizioni anti-Covid e lamentarsene all’esterno è una schizofrenia che delude entrambe le posizioni del proprio elettorato, “aperturista” e ‘chiusurista’”.
IL centrodestra sembra aver smarrito persino una netta linea anti-tasse, e che crede nel potere salvifico della spesa pubblica e dei fondi europei, serve un dibattito di idee e principi (si legga a proposito l’ultimo libro di Daniele Capezzone in uscita oggi, “Per una nuova Destra”). Ora pare che Salvini voglia fare marcia indietro, sulla questione del catasto, ma intanto Forza Italia, sta con Draghi, quindi altro fattore divisivo.
Come parziale attenuante, va tenuto conto anche di una tendenza strutturale in atto da alcuni anni, almeno un decennio: “ovunque nel mondo occidentale la sinistra stravince e governa in tutti i grandi centri urbani, mentre i partiti conservatori spesso non riescono nemmeno a toccare palla”. Tra le grandi città, fa eccezione per il momento Madrid. Per non parlare delle grandi città americane, tutte nelle mani dei Democratici anche negli stati più “rossi”. Come oggi in Italia, dove il centrodestra governa in quasi tutte le Regioni e la sinistra nelle città capoluogo”.
Intanto sono partite le prime critiche, sul perché non si è vinto. C’è già chi dà la colpa al ‘sovranismo’. Altri diranno che il centrodestra ha perso perché ha strizzato l’occhio ai no-vax, ai no-green pass, ai razzisti e ai fascisti, insomma agli impresentabili di ogni risma, i deplorables. E quindi si invoca, una svolta moderata ed europeista.
Ma questa è una rappresentazione che non ci convince nemmeno un po’. Chi ha già compiuto quella svolta, come il Movimento 5 Stelle, quasi sparisce. Chi la sta attuando, come la Lega, arretra. “Il risultato delle elezioni europee del 2019, le elezioni regionali del 2020, che hanno fatto tremare la sinistra nei suoi feudi, sono attribuibili ad una chiara linea politica. Di chi è figlio invece il risultato delle amministrative di ieri?”. Probabilmente l’elettorato ha bisogno di capipopolo, non di tecnici compassati. Proprio “in questo ha sbagliato il centrodestra, nell’inseguire la sinistra sulla moda dei candidati “civici” e ‘tecnici” – scrive Punzi – Sembra quasi che per ricevere la patente di presentabilità i partiti di centrodestra debbano assomigliare al Pd, ma gli elettori non sembrano pensarla in questo modo e, guarda caso, più si sforzano di somigliare al Pd e meno sono competitivi”.
Dunque, sembra che il centrodestra abbia perso le sfide amministrative non perché non è stato abbastanza “moderato”, al contrario perché troppo remissivo. Pertanto, gli elettori arrabbiati e rassegnati sono rimasti lontani dalle urne, “per un voto percepito sempre più come tradito e inutile. Ad un centrodestra copia del Pd gli elettori preferiscono l’originale, o restare a casa…”
Più probabilmente elettori agli occhi dei quali questo centrodestra non rappresenta nemmeno lontanamente la speranza di una vera alternativa al sistema di potere della sinistra. Anzi, sta facendo anticamera per entrarvi a farne parte.
Inoltre, in questo astensionismo c’è qualcosa di più profondo: non solo un difetto di proposta politica, ma una sfiducia nella democrazia. “Si sta sempre più insinuando in una gran parte di elettori la percezione della totale inutilità del voto. Gli ultimi anni hanno mostrato a questi elettori che votare per proposte politiche diverse dal Pd e i suoi satelliti non serve a incidere sull’azione di governo e istituzioni. E non si sentono solo esautorati, ma anche disprezzati”.
Non solo, il non voto è stato condizionato anche dal fatto che sia il movimento 5Stelle che la Lega, che erano contrari all’establishment di Roma e Bruxelles, in poco tempo, soprattutto i 5 Stelle, pur di sopravvivere, si sono messi al servizio di quell’establishment e la Lega, pochi mesi dopo, sembra aver iniziato lo stesso percorso alla corte di Draghi. Un trasformismo nei palazzi che si trasforma in sfiducia e astensionismo nelle urne.
Certo andrebbero fatte altre riflessioni, in particolare sullo stato di salute dello stesso istituto democratico, sul diritto di voto, sulla mancanza di candidature credibili, sulla moltiplicazione e la superficialità delle liste, in particolare quelle cosiddette “civiche, sulla morte dei partiti tradizionali. Prometto di farlo in un altro momento.
DOMENICO BONVEGNA
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