In primis fu grazie a Silvio Berlusconi, poi é stato come un fiume in piena. Stiamo parlando della ridefinizione del ruolo dei partiti, della loro funzione così come previsto dalla nostra Costituzione: Articolo 49 – Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Il concetto di partito é ovviamente libero e ognuno lo può intendere e mettere in pratica come crede. All’origine, il partito rappresenta una parte che propone e aggrega rispetto a programmi, idee, simpatie, etc.. Poi, col tempo e soprattutto grazie a Silvio Berlusconi, i partiti si sono trasformati in macchine di consenso, utilizzati da manager e non idealisti di vario tipo, per programmi forgiati presumibilmente per venire incontro ai desideri e alle necessità degli elettori.
La differenza é tutta in questo “utilizzati da manager e non idealisti di vario tipo”. Cioé, alcuni business man verificano cosa va per la maggiora e, di conseguenza, organizzano il partito per farvi fronte, sì da avere poi la maggioranza di consensi per governare e/o amministrare il Paese. Come un prodotto.
E’ la logica del marketing, del mercato basato sulla soddisfazione dei consumi, e sulla induzione verso questo o quell’altro consumo: Cosa piace di più in questo momento?
La limonata con sei cubetti di ghiaccio? Bene, mi organizzo per dare la possibilità, a chi ama la limonata con sei cubetti di ghiaccio, di poterla avere sempre, dovunque e a prezzi sempre più concorrenziali. Se poi, invece di una limonata con sei cubetti di ghiaccio, si tratta di pensioni, aumenti salariali, diritti più o meno inattuati o calpestati, non cambia; per il nostro manager é importate che questa istanza rappresenti una qualche maggioranza, ché la funzione del suo partito é gestire questa maggioranza grazie al potere che gli viene conferito dal sistema democratico. Il fatto che il partito, e i suoi manager, siano dei fan dell’aranciata senza ghiaccio o dei sostenitori della soppressione di alcuni diritti per il bene comune, é irrilevante. Quel che conta é che la presunta maggioranza la pensi in un certo modo, e che l’impegno del partito per questo modo consenta allo stesso di gestire il potere.
In questo contesto, pur se rimangono ancora diverse sacche, le spinte ideali diventano irrilevanti o, al massimo, un corollario per cercare di meglio acquistare e meglio vendere il prodotto che ci appresta a gestire.
Un esempio di questo metodo lo abbiamo sperimentato in modo calante in questi ultimi anni (Silvio Berlusconi, per l’appunto), ma é esploso in questi periodi.
L’ultimo è il cosiddetto contratto tra Leganord e Movimento 5 Stelle.
Due raggruppamenti politici che in campagna elettorale se le sono date tra di loro di santa ragione su questioni spesso una agli antipodi dell’altra, ma che poi hanno deciso di fare un accordo, ovviamente per il bene del Paese. In questo caso, più che il partito alla bisogna dopo il sondaggio di mercato su cosa vuole il popolo, é il programma (contratto) ad essere alla bisogna. “Lo vogliono gli italiani”, é in sintesi uno degli slogan che piu’ si sente echeggiare. E in un certo senso, é vero. Non sappiamo se questo sia un bene o un male. Quello che ci interessa evidenziare é l’esistenza di questo meccanismo, che ha cambiato l’approccio alla politica, passando da fasi di cittadini con cittadini, a fasi di attori e spettatori, dove i primi hanno dei registi e i secondi sono indirizzati dalle mode del momento. A noi preme che su questo ci sia una consapevolezza diffusa, da parte degli elettori come da parte di coloro che in qualche modo si candidano a gestire o amministrare questo o quell’altro contesto, conflitto, politica.
Questo accade perche’ il sistema elettorale non favorisce la governabilità ma la rappresentanza. Dove quest’ultima e’ tale solo in teoria, in considerazione dell’approccio manageriale di cui abbiamo scritto sopra.
E non dovrebbe accadere (il condizionale é d’obbligo) li’ dove il sistema elettorale favorisce la governabilità, cioe’ quando un minuto dopo i risultati elettorali si sa già chi governerà. Tipico, in questo senso, é il sistema elettorale americano, l’uninominale ad un turno.
La decisione spetta ai cittadini e agli elettori. In teoria. Perchè anche qui, chi non ci dice se per la formazione di una maggioranza che consenta il passaggio dall’attuale sistema proporzionale a quello uninominale, non ci si debba sottomettere alle logiche manageriali di cui sopra? Il discorso si fa sempre piu’ articolato, anche se la conclusione a cui siamo giunti non é una novita’ nel panorama istituzionale mondiale. Ma potrebbe essere una novità per l’Italia.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc