Trasferta a Bolzano, Mauthausen, Hartheim e Gusen, là dove risuona il grido dei deportati: “Se solo ci fosse qualcuno che mi ascolta”…
“Ciascuno ha un compito importante, tenere viva la memoria di ciò che è stato perché non accada più. In un mondo in cui abbondano guerre, dittature, luoghi di tortura, non possiamo chiudere gli occhi e non possiamo tacere. Costruire la democrazia significa ricordare l’orrore e chiedere rispetto per le vittime di allora e di oggi”.
Con queste riflessioni, condivise al microfono sul pullman, si è concluso la sera di domenica 28 maggio il primo Viaggio della Memoria organizzato dal Comune di Rho. Trentasei persone hanno raccolto l’invito del vicesindaco Maria Rita Vergani e visitato a partire da venerdì 26 maggio quel che resta del lager di Bolzano per poi spostarsi in Austria e visitare il Memoriale del campo di Mauthausen, il castello di Hartheim e il Memoriale di Gusen, rendendo omaggio ai deportati lì trasportati, costretti a lavori forzati, uccisi e annientati nei forni crematori.
Prima di partire i partecipanti hanno avuto un incontro preparatorio, proposto da Carmen Meloni, con Giuseppe Paleari, detto Pucci, che si occupa di deportazione nazista di civili dal 1972.
Il gruppo rhodense, organizzato da Paola Cupetti, responsabile del Cerimoniale del Comune, con Fabello Viaggi, è stato accompagnato dalla guida Antonella Nuovo, che non ha soltanto fornito informazioni storiche e logistiche, ma favorito la condivisione e il confronto durante i vari momenti delle tre giornate di viaggio. Un ringraziamento speciale va anche a Teres Stockinger, guida nelle tre tappe austriache, dotata di particolare sensibilità e attenzione verso ogni richiesta di chiarimento da parte dei partecipanti. Nel gruppo, in cui ogni partecipante indossava il fazzoletto bianco-azzurro dei deportati donato da Aned, anche il consigliere regionale Carlo Borghetti, il presidente di Anpi Rho Mario Anzani e il fotografo Paolo Mansolillo, che ha documentato l’intera trasferta e prodotto due video (https://youtu.be/dwAcXZPhmUM; https://youtu.be/E7jSpVr042M).
A Bolzano il corteo con i labari di Comune di Rho e Aned e la bandiera della sezione Gornati dell’Anpi di Rho ha raggiunto via Resia, dove si trova il muro dei nomi che ricorda i deportati rinchiusi al lager di Bolzano dall’estate 1944 al 3 maggio 1945. Qui il vicesindaco Maria Rita Vergani ha deposto una corona in memoria dei rhodensi Pietro Meloni, Gaetano Bellinzoni, Paolo Borsani, Alfredo Caloisi, Angelo Gornati, Guido Menapace, Martino Canegrati, Guido Bianchi, Fausto Siepe. Ciascuno è stato ricordato da Carmen Meloni, nipote di Pietro, che ha elencato destinazioni e destini di tutti.
Luis Walcher, vicesindaco della Città di Bolzano è intervenuto a nome del Sindaco Renzo Caramaschi, affiancato anche dal Capo di Gabinetto Sabrina Michielli e da Edda Ranalli, responsabile del Corpo di Polizia Municipale.
“Bolzano ha cercato di tenere alta la memoria mantenendo quel che resta del lager, ovvero il muro di cinta di via Resia, e creando un muro digitale su cui appaiono i nomi di chi fu detenuto qui – ha detto Luis Walcher – Qui sono venuti i presidenti delle Repubbliche di Italia e Austria, a sottolineare che Stati 80 anni fa schiacciati da dittature oggi sono democrazie che vivono in pace. Oggi, però, la guerra in Ucraina dista da noi meno della Sicilia, siamo a 900 chilometri. Vogliamo ricordare i tempi bui perché non si alzino altri muri. Con tenacia il sindaco Caramaschi insiste sui progetti per le nuove generazioni, per passare loro il testimone. Vi ringrazio per essere qui, dal passato traiamo insegnamenti per vivere oggi in pace”.
Aaron Ceolan, collaboratore dell’Archivio Storico Città di Bolzano, ha ricordato le ricerche avviate nel 1995 da Carla Giacomozzi per fare luce su questo campo: “Nel 2019 è stato rinnovato il passaggio della memoria, con un muro moderno digitale su cui appaiono i nomi di quasi tutti coloro che sono transitati, quasi 9mila rispetto agli 11mila contati. Abbiamo anche realizzato quasi 200 video interviste a sopravvissuti, che trovate online sul sito lageredeportazione.org”.
“Il recupero della memoria ci accomuna, a Rho abbiamo avviato il percorso Memoria è Libertà con targhe e pietre di inciampo – ha detto il vicesindaco rhodense Maria Rita Vergani – Alle porte dell’Europa c’è una guerra in corso e questo ci fa capire quanto sia importante lavorare su questo, inoltre i testimoni diretti stanno venendo a mancare, si rischia che il negazionismo prenda il sopravvento. Siamo qui con Aned e Anpi per un viaggio speciale: gli studenti hanno occasioni grazie alle scuole, le persone di mezza età non hanno avuto questa possibilità, così si è pensato a un viaggio dedicato a loro, con supporti culturali e vissuto in gruppo per non sentirsi da soli di fronte a tanto dolore. Facciamo memoria dei cittadini rhodensi passati da qui: trovo bello vedere qui vicino un asilo, rappresenta il legame tra il passato e il futuro”.
Guido Margheri, presidente provinciale di ANPI Bolzano, ha ringraziato i rhodensi presenti: “In questa terra bilingue la memoria è scomoda. In pochi venivano qui, poi si è vinta la battaglia contro l’oblio. Il muro è affiancato da un asilo e dal centro giovanile Villa delle Rose i cui giovani ogni anno vivono un viaggio nei lager: sul treno viaggiano 150 ragazzi del Trenino, 150 del Sud Tirol di vari gruppi linguistici, 150 del Tirolo del Nord. Questo lager era necessario per trasferire i prigionieri di Fossoli: resistenti del nuovo esercito italiano e partigiani rastrellati da fascisti e nazisti, ma anche 300 ebrei, Testimoni di Geova, Rom e Sinti, alcuni sudtirolesi. Si viveva nell’angoscia perché non era chiaro come si decidesse chi doveva salire sui treni per i campi di sterminio. Da qui sono partiti 13 convogli, il 14° è stato bloccato dai bombardamenti che distrussero la linea del Brennero: 2.500 persone partirono, due terzi non sono mai tornati. Qui tutti erano condannati al lavoro coatto, quanti erano considerati pericolosi venivano torturati, ci furono violenze efferate e omicidi”.
Il presidente dell’Anpi di Rho, Mario Anzani, ha evidenziato lo sforzo comune di preservare una “memoria attiva, che si traduca nelle nuove generazioni in senso civico, in volontà di conoscere la storia e di avvalersene”: “Oggi dobbiamo contrastare revisionismo e negazionismo, specialmente quando anche alte cariche istituzionali minimizzano quanto accaduto”.
Sabato 27 maggio si è svolta la visita al Memoriale di Mauthausen dove è stata deposta un’altra corona al monumento alle vittime italiane dopo un minuto di silenzio carico di commozione. Carmen Meloni ha letto il Giuramento di Mauthausen, in cui i sopravvissuti salutano tutti i popoli “con il grido della libertà riconquistata” ed esaltano il valore della fratellanza.
Maria Rita Vergani ha evidenziato come la commozione provata da tutti sia il segno della necessità di onorare le vittime e tramandare la memoria: “Dobbiamo tornare a casa trasformati da questa visita per tramandare il rischio di quanto può succedere e lavorare per la cultura della pace. Un dovere per chi lavora nelle istituzioni ma anche per ciascuno”.
Teres Stockinger ha raccontato, tra i monumenti eretti dalle diverse nazioni, la storia del campo di sterminio, sorto accanto a un campo da calcio da cui giocatori e spettatori potevano vedere benissimo i deportati rasati, denutriti e ridotti a scheletri avvolti da abiti inadeguati al gelo invernale e al lavoro massacrante che erano costretti a svolgere nella vicina cava di granito. La scala della morte ha visto cadere molti di loro, stremati dalla fatica. Altri venivano gettati dall’alto, costretti a spingersi l’uno con l’altro.
Il gruppo rhodense ha conosciuto gli orrori del lager: le baracche, il bordello dove le deportate venivano ridotte a schiave del sesso, le docce in cui i nuovi arrivati venivano stipati a centinaia dopo essere stati rasati, le camere a gas e i forni crematori dove svaniva nel fumo del camino chi non aveva retto a tante violenze e chi veniva fucilato o impiccato.
La visita è proseguita con il groppo in gola osservando il filo spinato e le foto delle adunate per l’appello del mattino, cui nemmeno i cadaveri dovevano mancare.
Nella stanza dei nomi, un ulteriore momento di commozione ritrovando nei registri il nome di Mario Quaroni, nato a Rho l’8 febbraio 1921, morto a Gusen il 19 aprile 1945.
Altra tappa il castello di Hartheim, donato nel 1898 al kaiser Francesco Giuseppe I e poi divenuto teatro delle esecuzioni di persone con disabilità: 30mila i morti registrati. Qui sono approdati nel 1938 i disabili austriaci e tedeschi, prelevati con la scusa di un soggiorno di cura in un luogo adeguato. Le famiglie ricevevano poi una lettera in cui si diceva che una polmonite aveva stroncato il loro caro, finito invece nelle camere a gas o nell’autobus trasformato in camera della morte ambulante, sempre grazie allo Ziklon B. Negli anni della guerra mondiale, la stessa sorte toccò a molti altri disabili e a numerosi deportati, anche italiani. Hartheim era uno dei sei luoghi della Aktion T4 per l’eliminazione sistematica delle persone con disabilità e dei malati incurabili, quella che i nazisti chiamavano eutanasia.
Lascia il segno la scritta sulla tomba delle ceneri: “Se solo ci fosse qualcuno che mi ascolta”.
Ultima tappa il Memoriale di Gusen, oggi circondato da un quartiere residenziale sorto attorno al forno crematorio, unico reperto di uno scomodo passato. Lì è ora appeso un gagliardetto del Comune di Rho, per ricordare il passaggio di quanti si sono commossi e indignati ascoltando il destino del rhodense Mario Quaroni e di migliaia di deportati. Il campo di Gusen era anche più grande di Mauthausen, sorto accanto a un’altra cava. Un campo di lavori forzati e di morte. Qui la città ha voluto dimenticare, ora il Governo austriaco cerca di acquistare alcuni edifici rimasti in piedi per allargare il Memoriale. La villa che ospitava i gerarchi nazisti, però, è da decenni proprietà di una famiglia che vi risiede e ha creato poco distante una fabbrica di materie plastiche.
La vista di tutto questo ha suscitato grande indignazione. Carmen Meloni ha letto una ideale lettera a Quaroni: “Caro Mario, siamo venuti a cercarti pur sapendo che non ti avremmo trovato, sei morto in una terra non tua, una terra che ancora oggi non pesa sul legno della tua bara, ti hanno disperso nell’aria di tutti i giorni, sei fumo scuro, amaro e tormentato. Sappiamo che hai sofferto, ci hanno raccontato le tue pene, ci hanno raccontato il freddo, la fame, l’isolamento, il disprezzo patito. Non capiamo perché tu non debba esistere più. Molti sono morti prima di te, con te e dopo di te. Caro Mario, l’uomo è una strana creatura, dimentica gli errori per commetterne ancora. Anche noi dimentichiamo ma non vogliamo più farlo. La tua morte è una lama di coltello profonda che scuote le nostre coscienze. La tua morte non è servita alla costruzione di una società giusta e degna. Ti lasciamo al vento che si prenderà cura di te, con lui sarai un’anima leggera ma pesante per il genere umano. Ti onoreremo e faremo sì che non ce ne siano altri come te, uomini con l’anima strappata, privati di umanità. Il nostro pensiero va alla pace futura”.
“Mario Quaroni apparteneva a una famiglia di partigiani, con sua sorella Luigia che lavorava al Comune di Rho e faceva la staffetta sul Lago Maggiore, dove combatté Alfredo Caloisi – ha aggiunto Mario Anzani, presidente di Anpi – Abbiamo visitato luoghi di una inumanità indicibile che pongono interrogativi. In questi luoghi Dio è morto, l’umano è morto. Chi usciva da questi campi voleva un mondo diverso, in cui la giustizia sociale non fosse una parola vacua. In cui la pace potesse accomunare i popoli del mondo. Questo orizzonte lo vediamo purtroppo ancora lontano. Ci rimane ancora un grande lavoro da fare, per rendere omaggio a chi è stato assassinato dalla barbarie nazista e tenere viva la sua memoria perché sia lievito di un mondo migliore”.
Le conclusione del viaggio le ha tratte al ritorno Maria Rita Vergani: “Cerchiamo di salvaguardare la memoria di chi non è più ritornato. Nostro obiettivo è accorciare le distanze ed essere comunità, in questi giorni lo abbiamo fatto. Vivere insieme questo viaggio nell’orrore del passato ha aiutato ciascuno a metabolizzare quanto avvenuto e a trarne sprone per i comportamenti quotidiani, perché tutti possiamo essere testimoni di quanto è stato e impegnarci perché non accada più. Chi non ha memoria ripete, chi conosce la verità ha un compito importante, oggi ancora più di qualche anno fa”.