di ANDREA FILLORAMO
Scriveva Piero Calamandrei: “La legge è uguale per tutti: è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocare la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l’aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria”.
Mi è tornata in mente questa espressione, rileggendo l’ultimo mio “pezzo” concernente i responsabili della sanità siciliana, che, come dalle intercettazioni, dicevano che si dovevano “spalmare” e “scutuliare” (cito ancora i loro termini) il numero degli anziani morti per evitare la “zona rossa”, condannando così molti di loro, poiché esposti al contagio del Covid 19, di andare a finire i giorni nelle terapie intensive.
A questi personaggi, di cui si sta interessando la magistratura, che, a mio parere, dovrebbero essere allontanati al più presto dagli Uffici, si aggiungono quelli, che, perché amici o “amici degli amici”, sono stati vaccinati, precedendo gli over 80.
Ciò che è avvenuto in Sicilia probabilmente è avvenuto anche altrove, dato che il sistema delle raccomandazioni, al quale faccio riferimento, è così ampio in Italia da essere spesso considerato una pratica quasi normale. Tutti lo sappiamo: le raccomandazioni, infatti, coinvolgono diversi ambiti in cui i cittadini avvertono la necessità della ricerca di scorciatoie per aggirare gli ostacoli, per avere un posto di lavoro, per farsi assegnare alloggi o benefici assistenziali, per farsi cancellare multe o altre sanzioni o, come succede in qualche Comune, addirittura per avere un certificato di nascita o di residenza.
La raccomandazione è diventata – ammettiamolo – un abito sociale e mentale e ha cancellato anche il senso della consapevolezza di chi la raccomandazione l’ha avuta.
Del resto, il sistema delle raccomandazioni è molto antico, risale ai Romani, un flagello che già allora minava l’efficienza dell’amministrazione pubblica. Agli inizi della sua storia Roma, infatti, era dotata di un apparato statale molto snello, ma con l’allargarsi il suo dominio anche l’amministrazione statale divenne più estesa, con ciò moltiplicando i posti nelle carriere statali. La caccia al posto era l’attività principale dei rampolli dell’aristocrazia senatoriale e dei giovani rampanti delle classi emergenti. Per ottenerlo era necessario godere di influenti raccomandazioni, nelle quali non è possibile trovare traccia delle qualità specifiche che il candidato poteva vantare per occupare degnamente la posizione cui aspirava, ma solo l’esaltazione di generiche virtù e soprattutto della fedeltà del raccomandato e questa prassi continua fino ai nostri giorni.
Mi si permetta di esprimere la mia personale convinzione: il sistema delle raccomandazioni, tipicamente italiano, che affonda le sue radici nell’antichità, è nella Sicilia particolarmente radicato; è un costume e una prassi, generata dal clientelismo, con cui non si smette mai di gestire e di attuare i rapporti politici e sociali. Si tratta purtroppo sempre di rapporti di dipendenza, ai quali tutti dicono, solo a parole, di ribellarsi. È, infatti, sulla bocca di tutti e tutti conoscono l’arcano significato della confidenziale domanda: “Cunusci cacchidunu?”.
Sono certo, quindi, che occupano dei posti di responsabilità nello Stato o nel parastato, anche se hanno superato dei concorsi che dovevano essere riservati ai meritevoli. Diranno di non essere stati raccomandati per avere quel posto, anzi spesso aggiungono che aspettano di fare un concorso interno per una promozione: essi, pur sapendo, quindi, che la raccomandazione è un orribile costume che lede la giustizia sociale, la usano con una certa facilità.
Giustizia sociale significa: uguaglianza sociale, all’interno di una comunità, e questa deve essere sempre difesa da tutti e in modo particolare di chi si dice cristiano.
Se leggiamo il Vangelo, notiamo che Gesù, con la sua testimonianza e nella sua predicazione non restringe alla sfera spirituale l’impegno dei credenti, lasciando ad altri l’impegno civile, ma li invita a essere lievito, sale, e luce del mondo: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14), a non tacere mai di fronte alle ingiustizie ma a essere i primi a denunciarle: “Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze” (Mt 10,27).