I 46 paesi meno sviluppati che contribuiscono a meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, ospitano più del 20% di tutti i rifugiati.
Si è chiuso ieri a Ginevra il Forum Globale sui Rifugiati. L’UNHCR evidenzia l’entità dell’onere e della responsabilità a favore delle persone in fuga nel mondo ed i progressi in materia di inclusione, per i quali è necessaria però un’azione più ampia.
In occasione del Forum Globale sui Rifugiati che si è chiuso ieri a Ginevra, l’UNHCR, Agenzia ONU per i rifugiati, evidenzia i dati del Rapporto sugli indicatori del Patto Globale sui Rifugiati 2023 che mostrano i progressi sostenuti su quattro obiettivi chiave: alleggerire la pressione sui Paesi ospitanti, migliorare l’autosufficienza dei rifugiati, ampliare l’accesso alle soluzioni dei Paesi terzi e sostenere le condizioni nei Paesi d’origine. Il documento valuta i progressi compiuti rispetto agli impegni assunti dal 2019 e offre indicazioni per colmare le lacune in materia di istruzione, occupazione e inclusione.
Alla fine di giugno erano 110 milioni le persone costrette alla fuga a livello mondiale, 1,6 milioni in più rispetto alla fine del 2022[1]. L’UNHCR stima che, nel trimestre da giugno a settembre, il numero di persone costrette a fuggire è cresciuto di 4 milioni, portando il totale a 114 milioni. Oltre la metà delle persone in fuga nel mondo non varca mai frontiere internazionali. A metà del 2023, erano 36,4 milioni i rifugiati. L’87% proviene da soli 10 Paesi: Siria (6.5 milioni), Afghanistan (6.1M), Ucraina (5.9M), Venezuela (5.6M), Sud Sudan (2.2M), Myanmar (1.3M), Sudan (1M), Repubblica Democratica del Congo (948.400), Somalia (814.600), Repubblica Centrafricana (750.900). Poco più della metà dei rifugiati nel mondo sono oggi afghani, siriani o ucraini. Il numero dei rifugiati nel mondo è più che raddoppiato dal 2016. In soli due anni, la proporzione sulla popolazione mondiale è cresciuta da 1 rifugiato ogni 400 persone a 1 ogni 200.
La condivisione delle responsabilità rimane altamente iniqua: il 55% dei rifugiati è ospitato in soli 10 Paesi: Iran (3.4 milioni), Turchia (3.4M), Germania (2.5M), Colombia (2.5M), Pakistan (2.1M), Uganda (1.5M), Federazione Russa (1.2M), Polonia (989.900), Perù (987.200), Bangladesh (961.800). La maggior parte (il 69%) delle persone in fuga da conflitti e persecuzioni rimane nei pressi del proprio Paese d’origine. I numeri confermano altresì che, sia in base a misure economiche che in rapporto alla popolazione, sono sempre i paesi a medio e basso reddito ad ospitare la maggior parte delle persone in fuga (75%). I 46 paesi meno sviluppati rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, eppure ospitano più del 20% di tutti i rifugiati.
I bisogni delle persone costrette alla fuga continuano a superare le soluzioni, anche per quanto riguarda i ritorni volontari e i finanziamenti disponibili. Dal 2016 al 2022 per ogni rifugiato che ha trovato una soluzione duratura alla propria situatazione – ad esempio attraverso il reinsediamento, il ritorno volontario nel paese d’origine o l’integrazione nel paese dove ha trovato protezione – altre cinque persone in media sono state costrette a fuggire.
“Oggi i bisogni dei rifugiati nel mondo superano ampiamente le risorse finanziarie a disposizione. Le conseguenze di questo gap sono gravi e riguardano non solo le persone in fuga ma anche le comunità e i paesi che li ospitano”. Ha dichiarato Chiara Cardoletti, Rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino.
“Questa carenza di fondi ci costringe a fare scelte impossibili sulle diverse crisi da affrontare. Oggi molte più persone sono costrette alla fuga a causa di conflitti e di violenze in Sudan, Sahel, Sud America e Asia, e sono spinte ad affrontare viaggi pericolosi in cerca di salvezza attraverso il Mediterraneo, dove quest’anno si è raggiunto un nuovo record di sbarchi, o la regione di Darien a Panama, dove nel 2023, 250 mila tra uomini, donne e bambini hanno attraversato la giungla.
Nel Golfo del Bengala, nel 2022, abbiamo registrato un incremento del 260% di Rohingya che rischiano la vita in fuga in mare per fuggire dal Myanmar e Bangladesh principalmente. E il nuovo conflitto in Sudan ha generato poco meno di 2 milioni di rifugiati”.
“Il Forum Globale sui Rifugiati è un’occasione per trovare soluzioni concrete al fine di gestire in maniera efficace e umana questo flusso di persone in fuga. Per affrontare questa sfida non esistono ricette magiche, ma serve uno sforzo comune che coinvolga tutti gli attori in campo e che porti un alleggerimento della pressione sui Paesi ospitanti; un aumento delle opportunità di autosufficienza dei Rifugiati; più possibilità di reinsediamento in Paesi terzi, per chi non può tornare a casa; e un più forte impegno per permettere un ritorno sicuro e dignitoso nei Paesi di origine”. Ha concluso Chiara Cardoletti.
Ma non mancano alcuni segnali positivi, seppur timidi. Nel primo semestre del 2023, sono poco più di 404.000 i rifugiati che hanno fatto ritorno nel paese d’origine, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2022. Quasi 2,7 milioni di sfollati interni hanno fatto ritorno alle proprie case nello stesso periodo, più del doppio di quanto registrato nella prima metà del 2022. Il numero di rifugiati reinsediati è aumentato, sebbene i casi di reinsediamento nella prima metà del 2023 abbiano rappresentato solo il 3% dei 2 milioni di persone che, secondo le stime dell’UNHCR, hanno bisogno di essere reinsediate a livello globale.
Negli ultimi quattro anni il mondo ha comunque compiuto progressi tangibili nel fornire risposte condivise e allineate per gettare le basi per migliorare la vita dei rifugiati, ma questi progressi devono accelerare per far fronte al continuo aumento degli sfollamenti forzati a livello globale.
Il Rapporto sugli indicatori del Patto Globale sui Rifugiati 2023 ha rilevato che L’inclusione dei rifugiati nelle economie dei paesi che li ospitano dipende in larga misura dalla loro capacità di muoversi liberamente. Le informazioni disponibili per 109 Paesi, che includono 29 milioni di rifugiati, indicano che 6 rifugiati su 10 godono di libertà di movimento legale. Inoltre, 7 rifugiati su 10 avevano accesso legale al lavoro, ma solo la metà aveva accesso nella pratica a un impiego formale.
Il contesto politico per l’accesso dei rifugiati all’istruzione è stato giudicato generalmente positivo: la maggior parte dei paesi dispone di leggi per garantire ai bambini rifugiati l’accesso all’istruzione formale (il 73% dei Paesi garantisce esplicitamente ai bambini rifugiati l’accesso all’istruzione primaria, il 67% dei Paesi a quella secondaria).
Inoltre, dal 2016 sono aumentati il numero e la gamma di partner coinvolti nelle risposte ai rifugiati, tra cui un maggior numero di ONG locali, organizzazioni religiose, organizzazioni guidate da rifugiati e da donne.
Il Forum Globale sui Rifugiati, che ha visto la partecipazione di oltre 4.200 persone da 168 Paesi, si è chiuso con l’impegno da parte dei governi e del settore privato di stanziare 2,2 miliardi di dollari. Gli Stati si sono inoltre impegnati per il reinsediamento di 1 milione di rifugiati entro il 2030.
“I partecipanti hanno dimostrato leadership, visione e creatività nella ricerca di soluzioni a un fenomeno molto complesso”, ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati Filippo Grandi. “Soprattutto, hanno preso un impegno a continuare a lavorare insieme per migliorare la vita di milioni di persone in fuga da guerre e violenze nel mondo”.