Prima di leggere un libro, talvolta mi pongo una domanda: jnnu8per quale motivo lo leggo? Forse me lo ha ordinato il medico? (senso ironico). Per la lettura de “La parabola di Ronald Reagan. Da Hollywood all’ascesa dei neoconservatori”, a cura di Marco Sioli, edito da ombre corte (Verona, 2008), la motivazione l’ho avuta dalle recenti elezioni presidenziali americane stravinte dal candidato repubblicano Donald Trump, e poi dalla poca conoscenza della figura di Ronald Reagan che bene o male ha segnato la storia della politica americana.
Il libro nasce da un convegno che si è svolto presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, intitolato: “Tra propaganda e comunicazione politica. La parabola di Ronald Reagan”. Il volume riunisce in larga parte i lavori del convegno che si era proposto di ripercorrere la carriera di Reagan, “senza apologie né demonizzazioni”. Il testo è composto di undici saggi, dove gli autori ripercorrono la vita di Reagan a partire dal suo ruolo di attore hollywoodiano negli anni del maccartismo e dal suo impegno come promotore della destra conservatrice. Naturalmente sotto la lente d’ingrandimento vengono posti in particolare i due mandati presidenziali, la sua figura di leader della “maggioranza silenziosa” e la sua abilità nel comunicare all’americano medio i messaggi cruciali per raggiungere il successo politico. Il volume segue la parabola fino alla morte e ai funerali che, trasformati in eventi pubblici intesi a riavvicinare i due principali schieramenti politici, si presentarono come l’ultima espressione di una strategia mediatica vincente. Appare così in tutte le sue sfaccettature il “reaganismo”: una filosofia politica che se a molti è sembrata più convincente nel lungo periodo, tanto da creare i presupposti per l’ascesa dei neoconservatori e portare alla vittoria elettorale di George W. Bush, ad altri è parsa come una minaccia per la democrazia rappresentativa voluta dai padri fondatori della nazione americana. Tuttavia, la “politica delle libertà” di Ronald Reagan, nonostante gli errori commessi, in queste pagine puntualmente sottoposti a esame, quando il presidente lasciò la Casa Bianca, la percentuale dei consensi era superiore al 60 per cento: merito delle sue doti di comunicatore.
La prefazione è del professore Alberto Martinelli, convinto che il giudizio sulla presidenza Reagan è profondamente controverso. Può essere considerato l’alfiere del Partito Repubblicano che certamente ha contribuito al collasso dell’Unione Sovietica. Sarà ricordato come il presidente della vittoria americana nella Guerra fredda contro l’Unione Sovietica. Al di là delle contrastanti valutazioni, Reagan ha goduto di un vasto consenso tra i cittadini americani, sconfiggendo nettamente il presidente in carica, Jimmy Carter e travolgendo quattro anni dopo Walter Mondale, vincendo in 49 Stati su 50. Il suo elettorato è andato molto al di là del tradizionale elettorato repubblicano. Reagan più di ogni altro leader repubblicano ha contribuito al successo della rivoluzione neoconservatrice iniziata negli anni Settanta, costituita principalmente da un revival religioso del fondamentalismo cristiano. Il primo saggio è del curatore del libro Marco Sioli. Che pone la sua attenzione sui due mandati presidenziali di Reagan, dal 1981 al 1989, identificandolo come quella che la politica delle libertà. Tuttavia Sioli descrive prima come è arrivato a diventare presidente. Come è riuscito a costruire quell’ampio consenso attorno alla sua figura. Con i suoi discorsi radiofonici, articoli. Come ha vinto le primarie dei Repubblicani nel 1980. La Libertà per Reagan è la condizione principale del progresso umano. E l’America è quell’isola della libertà dove potevano rifugiarsi tutti quelli che desideravano essere liberi. Il concetto fondamentale della sua originale filosofia politica era “la politica delle libertà”. Sioli spiega i tratti principali. Allontanarsi dalla retorica vuota della filosofia pubblica del New Deal. Necessità di “reintrodurre l’idea di un potere federale limitato”, dando ai singoli Stati un ruolo di preminenza. Inoltre dare credibilità alla stessa presidenza e ai partiti politici, attraverso il patriottismo e il nazionalismo. Una missione per l’America, voluta da Dio come “faro della libertà”. Infine in economia, tagli fiscali, riduzione delle spese federali. In politica internazionale una forte spinta per favorire il collasso dell’Unione Sovietica con conseguente liberazione degli Stati dell’Europa dell’Est. Una divisione del mondo in Occidente, che doveva operare una “crociata per la libertà”, attraverso i “combattenti per la libertà” e di fronte un Oriente schiavo da liberare. Una filosofia politica di Reagan supportata da un’abilità mediatica impregnata di ottimismo sempre accompagnato da un sano sorriso. Reagan era, è stato un grande comunicatore. Sioli ci tiene a precisare che il compito di questo volume sarà quello di, “ripensare agli insuccessi, ma anche ai successi dell’amministrazione Reagan […] per cercare di non appiattirsi sugli stereotipi negativi, senza riuscire a comprendere i motivi profondi di una politica che sta segnando le scelte di tutti i governi occidentali nel nuovo millennio”.
Merita molta attenzione la relazione del professore Antonio Donno (Alle origini del reaganismo: Barry M. Goldwater) Il riferimento costante è il testo del politico del conservatore americano Goldwater, “The coscience of a Conservative”. Per capire la politica reaganiana occorre partire da questo testo fondamentale. Goldwater poneva all’attenzione degli americani il problema dei problemi: il pericolo dello statalismo di matrice newdealista. Goldwater faceva riferimento alla Costituzione americana che poneva freni all’accentramento del potere dello Stato. Goldwater era convinto che finora non si aveva difeso la Repubblica americana: “il risultato è un Leviatano, una vasta autorità nazionale senza alcun contatto con il popolo e fuori dal suo controllo. Questo potere monolitico è controllato soltanto dalla volontà di coloro che siedono in alto loco”. Questo è il nocciolo del conservatorismo di Goldwater, nelle prime pagine del libro “The Coscience of a Conservative”. Goldwater afferma Donno si considerava il conservatore della vera tradizione politica americana. Un messaggio potente che ha trasmesso agli americani, nonostante la sconfitta nelle elezioni presidenziali del 1964 che gli ha inflitto Lyndon Johnson. Un messaggio che ha trionfato molti anni dopo con Ronald Reagan. Donno rileva che per la candidatura di Goldwater si era mobilitata, l’intellettualità conservatrice americana del tempo a cominciare di Russell Kirk, Milton Friedman, Harry Jaffa ed altri. Goldwater nonostante la sconfitta, quando il progressismo sembrava intoccabile, poteva scrivere che “l’America è, fondamentalmente, una nazione conservatrice […] La gente desidera intensamente ritornare ai principi conservatori”. Solo un pazzo poteva scrivere queste cose, sostenevano i liberals, i quali ritenevano che le idee di Goldwater andassero contro il comune sentire della gente. Invece per Donno i Liberals non avevano capito due cose: 1 “lo statalismo era estraneo alla tradizione politica liberale americana, era un’importazione europea (anche in senso ideologico), anzi molti lo ritenevano intrinsecamente un-American”. Anche se la “manna del cielo”, dello Stato, fa comodo, ma alla lunga corrompe. 2 “il Conservatorismo americano non era la Destra gretta ed antidemocratica, espressione dei grandi poteri economici, un movimento ‘poco intelligente’”, come sostenevano i Liberals, “ma un movimento di idee e di azione politica teso a conservare, rivitalizzare e riattualizzare la tradizione politica liberale americana, la tradizione americana nata con i Padri Fondatori, con la Dichiarazione d’Indipendenza e poi con la Costituzione americana […]”. La differenza tra conservatori e Liberals, è che i primi tengono conto dell’uomo intero, i secondi, guardano soltanto al lato materiale della natura umana. “Il Conservatore sa che considerare l’uomo parte di una massa indifferenziata significa, alla fine, consegnarlo alla schiavitù”. Questo è un pensiero di Friedrich von Hayek. La libertà politica dell’uomo è illusoria se egli dipende per i suoi bisogni economici dallo Stato. Per Goldwater, “la politica del conservatore è l’arte di garantire la massima libertà per ciascun individuo, preservando l’ordine sociale: è la ‘politica della prudenza‘, di cui parlava Russell Kirk in un libro del 1993. Questa “politica della prudenza”, si basa, affermava Russell Kirk, sull’assunto, in primo luogo, “il conservatore crede che esista un ordine morale costante […]”.
Il conservatore secondo Goldwater sa che l’etica è parte integrante della politica, nel senso che la politica ha il dovere di preservare, difendere e allargare i confini della libertà individuale. Goldwater critica l’assistenzialismo dello Stato, una subdola forma di totalitarismo. Quando l’individuo è alla mercè dello Stato che accudisce i suoi bisogni dalla culla alla tomba, questo è un socialismo pericoloso. E’ devastante l’effetto psicologico, politico per chi riceve l’assistenza. L’effetto esercitato su chi riceve assistenza è l’eliminazione è l’eliminazione di ogni senso di responsabilità per se e la propria famiglia. Qui in Italia abbiamo visto con il reddito di cittadinanza. Goldwater secondo il professore Donno rappresenta l’anello di congiunzione tra il conservatorismo americano post-bellico – antinewdealista, anti-statalista, anti-liberal, sostenitore del free-market, anti-comunista, contrario a qualsiasi intesa con Mosca- ed il reaganismo ed i suoi sviluppi. Donno dà conto della controversia tra Goldwater e il senatore democratico Fulbright a proposito della politica anti-comunista degli Usa. Goldwater rigettava con forza la politica di apertura di Fulbright verso il mondo comunista. Goldwater era convinto che non bisognava riconoscere il governo comunista di Mosca, qusto atteggiamento avrebbe dato fiducia ai popoli sotto il dominio dell’impero sovietico e magari aiutato a rovesciare i loro carcerieri. Goldwater era contrario ad ogni disarmo, a qualsiasi negoziazione sulla limitazione delle armi. “Con la candidatura di Goldwater iniziava una nuova fase della storia del Partito repubblicano e del conservatorismo americano […]”. Sia che abbia letto o no il libro di Russel Kirk, “The Conservative Mind”. Tuttavia Goldwater con il suo libro letto da milioni di americani, rappresentò un vero e proprio manifesto politico. “The Coscience of a Conservative fu un sasso nello stagno. In esso sono condensate – scrive Donno – in maniera semplice ma profonda, tutte le elaborazione di più di un decennio di conservatorismo filosofico. La prima parte del libro è senza dubbio ispirata dalle riflessioni di Russel Kirk, John Hallowell e di altri conservatori tradizionalisti”. In Goldwater il fattore religioso torna al centro dell’azione politica: “un ritorno alle matrici giudaico-cristiane della nazione americana che produrrà nei decenni successivi un vero terremoto nell’approccio di molta parte dell’elettorato americano alla politica”.
Naturalmente non posso presentare tutti i saggi presenti nel libro, mi limito a citarli, comincio da Marco Cipolloni che si occupa della carriera cinematografica di Ronald Reagan: da attore a presidente. Segue Ferdinando Fasce, con “Reagan politico: la formazione di un presidente e le politiche interne”. Da evidenziare peraltro che ogni saggio presenta una serie di citazioni a numerosi libri su Reagan e la politica americana. Fabrizio Tonello si occupa di “Ronald Reagan e i Media”. Ci sono dei passaggi importanti che mi hanno colpito, nel 1971, all’interno del Partito repubblicano si comprende che per contrastare il potere mediatico dei Liberal occorreva una “strategia gramsciana”, creare dei centri di elaborazione teorica del ‘nuovo conservatorismo’, soprattutto assumendo professori universitari in grado di competere sul piano scientifico con le idee progressiste”.
Luca Bellocchio, presenta “La politica estera di Reagan: alle radici del globalismo neoconservatore”. Bellocchio individua una vera e propria “weltanschauung reaganiana”, per sradicare ogni influenza della cultura socialista. Una weltanschauung che si è sviluppata nella politica estera con una controffensiva ideologica contro l’Impero del Male sovietico. Segue, “Hunter S. Thompson e i critici del warfare reaganiano: il caso Grenada”. Dolores Greemberg relaziona su “Politica ambientale e ristrutturazioni geopolitiche nell’età di Reagan”. La Greemberg vede nell’elezione del 1980 di Reagan la vittoria del fattore religioso nella vita pubblica americana, anche se la separazione fra Chiesa e Stato è sempre stato presente negli Usa. Al successo di Reagan contribuirono i televangelisti e la destra cristiana di Moral Majority. Una particolare attenzione meriterebbe la relazione di Paolo Barcella, “Ronald Reagan e la destra religiosa statunitense”. Il professore evidenzia come l’unione tra il conservatorismo protestante e quello cattolico hanno fatto vincere Reagan. Durante i suoi due mandati, Reagan, ha posto le tematiche religiose tout court al centro del discorso politico statunitense. Il presidente ha operato perchè questa alleanza tra protestanti e cattolici si istituzionalizzasse. “Fuse” le loro istanze, creando una piattaforme comune. “Probabilmente fu il primo presidente a coinvolgere esponenti di primo piano delle chiese direttamente nelle attività istituzionali […]”. Barcella fa riferimento all’importante ruolo che hanno avuto i radio-predicatori negli Stati Uniti a partire dagli anni venti e poi dagli anni Quaranta. Reagan e Giovanni Paolo II furono in perfetta sintonia. Dal 1984 William Wilson ricoprì la carica di ambasciatore in Vaticano, una carica che risultava sospesa dal lontano 1867. Segnalo ancora gli ultimi due saggi, quello di Giovanni Borgognone, “I neoconservatori e l’eredità di Reagan”. E “La morte di reagan nella retorica nazionale”, di Barbara Bracco. Ultima segnalazione, ci sono alla fine ben diciotto pagine di “Bibliografia ragionata” a cura di Marco Sioli. Una bibliografia stratosferica attenta a tutti i libri su Reagan, compresa la raccolta dei 15 volumi dei “Public Papers of the Presidents. Ronald Reagan, 1981-1991, U.S. Government Printing Office, Washington 1982-1991.
DOMENICO BONVEGNA
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