Un altro tema che rischia di non essere seguito dai miei lettori è quello che riguarda la nostra connazionale Ilaria Salis, insegnante di 39 anni in prigione in Ungheria, accusata di aver aggredito e ferito un simpatizzante “nazista” durante una manifestazione. “Nelle sue tasche, lo ricordiamo, è stato rinvenuto un manganello e ciò non depone a suo favore. “Solo per sua difesa”, la giustifica il padre.
Salis, spesso comparsa in passato in manifestazioni dei centri sociali contro la destra, fu coinvolta insieme ad altri militanti nell’assalto ad un gazebo della Lega a Monza, il 18 febbraio 2017. Quel giorno, le due ragazze nel gazebo furono attaccate con insulti e sputi da un nutrito gruppo di facinorosi, tra cui lei, che per quei fatti andò a processo. Poi assolta”.(Antonella Gramigna, Caso Salis: le catene, la presunzione di innocenza, l’insegnamento, 3.2.24 nicolaporro/atlanticoquotidiano.it)
Anche in questa situazione mi preme sottolineare il comportamento dei sinistri di casa nostra che minimizzano la presunta aggressione della Salis. Il pestaggio ad opera di attivisti di estrema sinistra? «Massì», si è detto, «solo qualche pugno, che sarà mai, i neonazisti sono stati dimessi dall’ospedale con una prognosi di pochi giorni»…
“Più passa il tempo e più si ingrossa la pattuglia dei “giustificazionisti”, scrive Alberto Busacca su Libero del 4.2.24. Fa il nome di un certo fumettista Zerocalcare, e poi lo stesso Piero Sansonetti, direttore dell’Unità: «La Salis è accusata di aver tirato un paio di cazzotti a un nazista che inneggiava alle SS e alla Gestapo. Anch’io, se incontro un nazista che inneggia alle SS, gli tiro un pugno sul naso. Se ci riesco anche due». (Alberto Busacca, “a sinistra cresce il partito di chi giustifica le spranghe: “Giusto picchiare i neonazisti”)
Fare il tifo per i pestaggi non è mai giusto, “Nemmeno se il pestato di turno è un fan di Hitler o di qualche altro dittatore – scrive Busacca – Lo avete visto il video? Un gruppo di persone che si scaraventa sulla vittima prescelta colpendola più volte alla testa. Davvero vi sareste uniti alla bella combriccola? Davvero sareste andati ad abbracciare gli aggressori? Davvero sono tutti fratelli e sorelle vostri? C’è da augurarsi di no. E c’è da augurarsi che di quella brigata non facesse parte neanche la Salis…”.
Certo è giusto preoccuparsi per un’italiana arrestata in un Paese straniero. Giusto chiedere al governo di non lasciarla sola. Giusto fare di tutto perché le sia garantito un trattamento dignitoso e un processo equo. Nello stesso tempo però ha fatto bene il ministro Salvini a sottolineare se sia opportuno che una maestra come la Salis possa insegnare ai nostri figli. Di cattivi maestri nelle scuole ce n’erano e ce ne sono già tanti. Io ricordo quando ero supplente, negli anni ’80, una collega accusata di terrorismo, è stata prelevata in classe dai carabinieri. Naturalmente ciascun cittadino è libero di agire e vivere le proprie esperienze e idee politiche in uno stato democratico, “ma è anche vero – scrive Gramigna – che se si ritiene ragion di vita (come appare) intervenire con estrema irruenza in manifestazioni politiche diventa difficile rivestire un’immagine di laicità e assenza di pregiudizi, come una insegnante dovrebbe essere”.
Inoltre c’è un altro fattore da prendere in considerazione, è che i compagni de sinistra hanno la memoria corta. La storia si ripete, almeno per l’Italia, certe cose le abbiamo già vissute. Oggi si parla di questo gruppo antifascista di sinistra chiamato in tedesco “Hammerbande” (cioè “la banda dei martelli”), che organizza attacchi ben pianificati contro militanti di estrema destra, colpendo a mano armata teste, tibie e ginocchia degli avversari. Vi dice niente? Si domanda l’editoriale di Busacca. Siamo negli anni Settanta. “Non si usavano i martelli, ma le mitiche chiavi inglesi tanto care a certa sinistra. Il coro era questo: «Hazet 36, fascista dove sei?». E giù botte. Per dire, Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a Milano nel 1975 da un commando di Avanguardia operaia, è morto proprio così”. Il povero Sergio Ramelli è stato colpito ripetutamente alla testa con una chiave inglese, finito in coma in ospedale, è morto dopo un mese.
La stessa sorte di Ramelli è toccata a un altro militante del Fronte delle Gioventù Paolo Di Nella, ucciso a Roma nel 1983, colpito alla tempia con un oggetto contundente da estremisti di sinistra mai identificati. Anche allora si parlava di antifascismo militante. E anche allora, a sinistra, c’era chi minimizzava. Da rilevare che il solo presidente Sandro Pertini, si recò al capezzale di Paolo, per solidarizzare con i parenti del giovane di destra, lui che i fascisti li ha combattuti davvero, aveva capito che certi agguati criminali con l’antifascismo non dovrebbero centrare nulla. Bisognerebbe spiegarlo a quelli che fanno parte della “banda dei martelli”. E anche a quelli che li difendono…
DOMENICO BONVEGNA
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