Le frequenti manifestazioni e proteste dei cosiddetti giovani studenti di questi giorni hanno acceso il dibattito più o meno artificioso sul come chiamarle, soprattutto quando non permettono a qualcuno di poter esprimere il proprio libero pensiero, per la sinistra si tratta di contestazione, per la destra, sostanzialmente si tratta di censura.
Pertanto, secondo i sinistri che pontificano nei vari talk show, il ministro Eugenia Roccella è stata contestata, è lei che ha voluto abbandonare il palco degli Stati Generali della famiglia. Peraltro la ministra era recidiva, aveva fatto la stessa scena l’anno scorso al Salone del Libro a Torino. Ad aprile scorso, la stessa cosa è capitata ai relatori del Convegno di Scienza e Vita a Catania. D’altro canto, questi squadristi rossi che interpretano il proprio credo politico come un dogma religioso è quasi inevitabile sconfinare in forme di intolleranza che, nei confronti di chi non la pensa come loro, possono dar luogo ad atti di violenza vera e propria. Ne abbiamo avuto una tristissima prova nella lunga e angosciante stagione degli “Anni di piombo”.
E oggi come ieri non ci troviamo di fronte a compagni che sbagliano, i quali starebbero semplicemente sostenendo in modo inappropriato una idea giusta. Così come fu per i terroristi di qualunque colore durante il terrorismo stragista.
Per fortuna in questa circostanza non dobbiamo registrare attentati terroristici o vittime innocenti, ma di certo il clima che si è creato ultimamente nel nostro Paese in termini di intolleranza e di paura diffusa non lascia presagire nulla di buono. Tuttavia è evidente che soprattutto certe frange di manifestanti appartenenti ai Centri Sociali vogliono gettare ciclicamente benzina sul fuoco per infiammare il clima e alimentare lo scontro ideologico e culturale. E quindi occorre chiedersi a chi possa giovare tutto questo (cui prodest?). In tante manifestazioni si cerca lo scontro, aggredendo la polizia senza un vero perché, l’intento evidente, è quello di provocare, sobillare, fare in modo che le forze dell’ordine reagiscono per poi dare la colpa a loro, e quindi al governo.
Le manifestazioni pro Palestina che poi si convertono pro Hamas, risentono certamente delle tensioni sul fronte mediorientale, ma sembrano fomentate scientemente da gruppi di estremisti che puntano a rendere irrespirabile l’aria nelle piazze e financo nei luoghi di cultura e nelle università. Tuttavia in molti intravedono un vero e proprio disegno sovversivo mirante a far crollare l’ordine esistente, sfruttando ogni pretesto. L’altra sera a “Stasera Italia”, la scrittrice Ginevra Bompiani con estrema chiarezza e con molta enfasi, ha definito i ragazzi che manifestano degli “eroi”, addirittura dei“nuovi partigiani”. E’ evidente la matrice politica di alcuni attacchi. “L’obiettivo è il governo Meloni,- ha scritto Ruben Razzanti – che naviga in sicurezza nelle due Camere grazie a una maggioranza numericamente rassicurante e dunque non può cadere per via parlamentare. Il tentativo che i movimenti di piazza perseguono è di provocare divisioni nel centrodestra, mettere in discussione la linea atlantista ed europeista dell’esecutivo e acuire le tensioni sociali”. (Torna la strategia della tensione, qualcuno sogna il governissimo? 11.5.24, Lanuovabq.it) Assieme a queste considerazioni voglio associare quelle di Max Del Papa in merito alle nuove due icone della sinistra italiana: Salis e Zaki. (La sinistra di Salis e Zaki tace sul poliziotto in fin di vita, 10.5.24, nicolaporro.it).
La sinistra schleiniana ci presenta un Zaki filo Hamas e “rilancia la teppistoide Ilaria Salis, candidata per la coppia di impresari politico-teatrali Bonelli&Fratoianni, dipinta come una allucinante sorta di Gramsci in gonnella e manganello”. Certamente si punta alla provocazione ridicola, grottesca, demenziale, ma anche insistita e palese, basta vedere la Berlinguer a Rete 4 quante serate le ha dedicato. Del Papa, racconta qualche retroscena sulla prof , maestra o supplente (non si è potuto capire) quasi quarantenne, in particolare si sofferma sul suo aspetto nell’aula a Budapest, quando cerca “palesemente i fotografi, le telecamere, col sorriso da influencer del centro sociale”. Il giornalista ironizza sull’idea di antifascismo della Salis,“l’antifà come categoria dello spirito, manganello in borsa e trampolino per Bruxelles. O, come dice il padre, riconvertito dal sovranismo ungherese al populismo Askatasuna, “Ilaria è icona dell’antifascismo perenne”. Del Papa fa riferimento, a un antifascismo obbligatorio, che poi si traduce, sicuramente si traduceva nel “dovere di prendere a bastonate, a mazzate quanti non riconosciuti nella koinè: succedeva già cinquant’anni fa, e, per lo più, si trattava di volgarissimi ignobili regolamenti di conti o, peggio se possibile, vili spedizioni per sgomitare nel circolo dell’antifà terroristico”. E’ capitato a “Sergio Ramelli, il cui cervello veniva spalmato sul marciapiede, dalle parti di Città Studi, da un commando di balordi di Avanguardia Operaia, studenti a Medicina: in fama di fascista, il giovane Ramelli, ma ad esclusivo criterio di chi lo massacrava: in realtà le sue opinioni, le sue convinzioni erano quelle di un ragazzino torturato nella sua scuola, mite, isolato, che cercava una comunità, cercava disperatamente amici. E li trovava fra chi non lo cacciava. Ecco come ne avrebbero raccontato l’esecuzione i colpevoli, anni dopo: «Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Ha il viso scoperto e posso colpirlo al viso. Ma temo di sfregiarlo, di spezzargli i denti. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese. Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino fra i piedi e inciampa. Io cado con lui. Lo colpisco un’altra volta. Non so dove: al corpo, alle gambe. Non so. Una signora urla: “Basta, lasciatelo stare! Così lo ammazzate!” Scappo, e dovevo essere l’ultimo a scappare.» Del Papa, ci tiene a precisare, che nessuno avrebbe poi pagato per tanto scempio, Parliamo di Ramelli come emblema di una somma atroce ingiustizia che era un giovane studente, tutto era tranne che un pericoloso fascista; e che, “quando spirò dopo oltre un mese di agonia orribile, dovette pure suscitare la standing ovation del consiglio comunale di Milano, esultante, dovette sopportare l’esaltazione dei vari Dario Fo, Franca Rame e in definitiva di tutti i cialtroni e gli sciacalli dell’intellighenzia che stava nell’alone del terrorismo, organizzava le gogne destinate a sfociare in omicidi e sapeva far sparire i compari materialmente responsabili, quelli che appiccavano il fuoco o manovravano la spranga, la chiave inglese, la rivoltella”. Intanto nessuna parola per un poliziotto accoltellato a morte, da Zaki, da Salis, dall’intellighenzia di oggi che non è diversa, non è migliore di quella dei tempi di Ramelli, di Calabresi. Nessuna parola da Repubblica, dai giornali d’area. Il sindaco di Milano se ne lava le mani, ne approfitta per scaricare le colpe sul premier Meloni.
Di sicuro, non abbiamo bisogno di eroi come questi Zaki e Salis, non ne abbiamo bisogno in Italia. Per il giornalista, la sinistra, il Pd, le succursali, dovrà spiegare agli italiani che di fatto sponsorizza non martiri della libertà, non icone dell’antifascismo democratico, “ma miseri fantocci del teppismo a prato basso un teppismo sovversivista non innocuo. La difesa a oltranza, la copertura di migliaia e migliaia di mine vaganti come il marocchino di Lambrate ricadono sulla sinistra dell’integrazionismo fantasma, dell’inclusivismo complice. Se il viceispettore di Martino ci lascia la pelle tutti taceranno, ma quel silenzio sarà anche più immondo delle letterine dal carcere delle Salis, degli Zaki”.
DOMENICO BONVEGNA
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