Social: censura. La stupidità dell’algoritmo e l’arroganza dei suoi padroni

La solita denuncia verso alcuni social che fanno censura per salvare l’umanità? Il solito topolino contro l’elefante? Il solito matto che vuole vomitare quello che lui non ritiene odio e gli viene impedito dai morigerati algoritmi dei big con la felpa, l’aereo privato e il missile per lo spazio?

Probabile. Ma una fotografia di dove siamo arrivati e dove stiamo andando.

Dell’ultima censura, clamorosa, se ne parla già molto in Rete e non solo. E’ Instagram che ha messo un bollino rosso sulle nudità di una statua del Canova. Non è la prima volta: oggi la foto dell’opera Teseo e il Minotauro. C’abbiamo fatto il callo, dicono alla Fondazione Antonio Canova.

Ci spiace che alla Fondazione si siano abituati, ché probabilmente è quello che serve a questi social per continuare a fare scempio di buon senso e (nel nostro caso) bellezza. La loro denuncia finirà nel novero delle tante e in milioni di milioni continueranno ad iscriversi, usare e dare legittimità di mercato non solo all’esistenza di questi social, ma ai loro metodi.

Sono storie quotidiane, per esempio, quelle su Facebook (al secolo Meta), il gigante di questi big (anche proprietario di Instagram): cancellazioni di account senza spiegazione e quando si cerca di capire non è dato saperlo (1), e con l’impossibilità di recuperare quanto si era accumulato magari in anni di uso. E dire che su questo social si propaganda anche l’uso a fini economici dello stesso… un disastro per chi ci è cascato e cade vittima dei loro sistemi.

Qualcuno gliela dovrà pur far pagare, oltre alle tasse che evadono per il loro corpo multinazionale e presenza territoriale specifica? Rari episodi, tra Antitrust e Agenzia nazionali del Fisco, tutte con multe che non fanno loro neanche il solletico e che riescono ad assimilare senza battere ciglio, con stuoli di studi legali per i quali contano le parcelle miliardarie con cui usano l’arte forense per scivolare tra norme e cavilli. Qualche rara sentenza per il singolo utente privato della propria identità virtuale. Tutte storie che non fanno testo e non fermano nulla perché dai miliardi che perdono da una parte ne entrano altri coi dati di miliardi di persone che continuano ad iscriversi.

I social sono utili e belli, non c’è dubbio. Ma non è detto che siano l’unico sistema di comunicazione interpersonale, valutando chi e cosa foraggiamo con il loro servizio che gratis non è (usano i nostri dati).

ADUC – Associazione Diritti Utenti e Consumatori 

 

1 – a noi ci è capitato tre volte e ci stiamo ancora chiedendo cosa abbiamo fatto…