Usare strumenti diversi dalla detenzione. Questa la proposta dell’Associazione nazionale forense (Anf), per bocca del suo segretario generale Giampaolo Di Marco. “Uno Stato che vede morire delle persone in luoghi gestiti da se stesso- ragiona Di Marco parlando con la Dire-, deve interrogarsi sul perché ciò accada e su cosa possa e debba fare. Essere in carcere per un reato e vederne collezionare qualche dozzina dal tuo carceriere, è la fine della civiltà”.
Prosegue Di Marco: “Siamo ben consapevoli delle difficoltà della gestione della popolazione carceraria anche in una possibile (?) condizione di normalità. Ma in condizioni fuori dalla normalità, la gestione è impossibile e le conseguenze non possono essere costanti morti e aggressioni. L’Europa lo chiede da tempo, le sanzioni al nostro Paese fioccano, ma il fragore del generale silenzio civico e statale è la peggiore risposta che ci si possa attendere da un Paese civile, democratico e costituzionalmente ben orientato”.
Del resto, chiosa, “l’assetto normativo del nostro paese prevede numerosi strumenti che permettono di riportare in equilibrio l’esigenza punitiva della Stato mediante la limitazione della libertà con la medesima esigenza mediante strumenti diversi, ma non meno sanzionatori. In entrambi i casi ne gioverebbero il sistema e soprattutto la dignità delle persone”, conclude Di Marco.