“Un lavoro ad alta intensità, come quello del magistrato, può e deve trovare le migliori risorse disponibili del Paese che siano in grado di limitare la libertà, incidere sulla proprietà privata e sulla vita delle persone.
Se dopo decenni di strane derive professionali, in larga misura mediatiche, ci si interroga ancora sulla necessità di test psico attitudinali per i magistrati, il problema non è solo politico, di questo o di quel Governo, ma di tutti, magistrati compresi”. All’indomani dell’approvazione della misura da parte del Consiglio dei ministri, il segretario generale dell’Associazione nazionale forense (Anf), Giampaolo Di Marco, prende posizione
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“La moderna mediaticità dell’attività giudiziaria- spiega Di Marco – ha reso maggiormente permeabile il sistema giustizia a metodi che poco hanno a che fare con la giurisdizione e il ‘giudicare’. Come già affermato di recente, ogni intervento sul sistema ordinamento giudiziario, non può far gridare allo scandalo costituzionale, sarebbe più utile comprendere se nel passato siano stati commessi errori affinché si possa scegliere in futuro di fare il magistrato perché si pensi di esserne in grado e si venga valutati per preparazione accettando le conseguenze e limitazioni, non affatto facili e alla portata di tutti, che tale professione comporta nella vita di relazione e personale”. A margine, conclude, “resta anche un pensiero alla possibile incostituzionalità della previsione in assenza di una specifica previsione della legge delega e la circostanza che il test venga disposto dopo aver superato il concorso e non prima”.