Ero andato in piazza “Foglia” a Rozzano non per “celebrare” il 2 giugno – ormai, fino a quando le “massonerie” ce lo consentiranno (l’anno scorso da Bruxelles volevano abolire il “Buon Natale” e il nome di Maria! v. “Corriere” 30/XI/2021), io “celebrerò” solo le feste religiose dei Santi – ma per sentire il Sindaco Ferretti di cui sono stato elettore, incontrare qualche amico e magari passargli il mio solito “foglietto” da leggere e, poi, appassionato di bande, non volevo perdere la nostra rozzanese diretta dall’amico Maestro Peppino Lo Preiato che poteva serbarci qualche gradita sorpresa, chissà, forse una “marcia sinfonica” sullo stile di quelle magistrali eseguite nel nostro Sud dai famosi complessi pugliesi.
Ho dovuto sorbirmi, invece, una fegatosa recita contro la Monarchia da parte di un signore che parlava a nome dell’ANPI (Associazione Partigiani Italiani). Di istinto avrei voluto alzare la mano per chiedere la parola e replicare a tamburo battente, lì, in piazza, contro ciò che, secondo me, era una interpretazione di parte e magari una contraffazione della verità storica; ma la cosa m’è parsa subito inopportuna e ho pensato che – giustamente – non me lo avrebbero consentito essendo quella una cerimonia ufficiale e non un rumoroso comizio di partito; lo faccio ora anche perché, trascorsi alcuni mesi, ho potuto riflettere e ponderare meglio le parole.
Come molti però, mi pongo subito la domanda: a quasi 80 anni dalla fine della “guerra civile” (1943-45), qual è oggi, 2022, la funzione e la utilità sociale di tale Associazione finanziata dallo Stato? Difendersi dal fascismo che è morto in malo modo ed è stato sepolto alla fine della guerra, 1945? Via, non facciamo ridere! Il fascismo (1919-1945) non esiste più, esso dovrebbe essere ormai affidato soltanto al giudizio della Storia, anche se qua e là qualche giovine sciamannato, per ripicca o per rabbia o perché provocato o vuole provocare o per il male di vivere, invece di drogarsi, alza il braccio nel saluto romano; purtroppo è il suo fantasma che in questi 77 anni – la vita di un uomo! – è stato evocato e agitato da chi ha avuto bisogno di costruirsi un fantoccio come “nemico” a suo uso e consumo, lo ha caricato di tutte le nequizie del mondo e vi ha spinto contro schiere di inconsapevoli entusiasti che con “bandiere e trombette” girotondano e cantano “bellaciao”. Costoro, specie alla vigilia di elezioni, pretendono perfino che partiti e singoli candidati facciano solenne professione di fede “antifascista” e qualcuno, anche sedicente di Destra, si piega, ridicolo, al loro volere e dichiara solenne “no al fascismo, senza ambiguità”, come se per le strade ci fossero schierate centurie di minacciose camicie nere pronte a marciare su Roma! Ma il fascismo è finito nel 1945 a meno che… al vocabolo “fascista”, oggi, non vengano aggiunti significati “altri” come – ad esempio – “Dio, Patria, Famiglia” ché in questo caso la faccenda potrebbe complicarsi ma per la Sinistra che – come vuole la sua dottrina – odia la sostanza e perfino il suono di quelle “Tre Parole” a cui ha attribuito valenze retrograde, reazionarie e oscurantiste; così, appena può, manifesta quest’odio con slogan del tipo “Dio, Patria, Famiglia che vita de merd.!” (era, come si ricorderà, il cartello volgare e blasfemo che, senza vergogna, una signora senatrice femminista del nostro Parlamento esibiva a Verona dove si era recata, 8-3-2019, per impedire un convegno che cattolici e laici avevano organizzato in difesa della Famiglia naturale).
Attenzione! Forse costoro, ormai borghesi di Sinistra, presi dalla foga della polemica elettorale di questo mese, non si rendono completamente conto che agitare quelle “Tre Parole” per creare imbarazzo e timore a qualche cattolico intimidito e confuso può diventare pericoloso e controproducente soprattutto per loro in quanto molti di noi che in Italia crediamo ancora in Dio e, di conseguenza, nella Patria e nella Famiglia, senza bisogno di essere “fascisti”, il 25 settembre potremmo votare compatti Meloni e Salvini se questi due politici apertamente e con coraggio dichiarassero di difenderne il vero significato. La funzione e la utilità dell’ANPI consistono nel ricordare il passato e rinfrescarne la memoria? Posso capire ed essere d’accordo: infatti un popolo senza memoria del proprio passato e che, anzi, vuole cancellarlo come già avviene in qualche parte del mondo dove nuovi barbari mutilano e distruggono anche le statue, si riduce al manzoniano “volgo disperso” senza nome. Sì – e qui sta il punto – ma quale Storia vogliamo ricordare? La raffazzonatura che ne ha fatto l’oratore dell’ANPI in piazza Foglia?
Questi, forse credendo di essere in una classe a imbonire bambini delle Elementari e ragazzini delle Medie, ha sciorinato una serie di avvenimenti dandone spiegazioni a dir poco semplicistiche quando invece, essi, anche a distanza di molti anni, restano ancora controversi e non facili da interpretare per i veri studiosi di Storia. Lungo, dunque, sarebbe l’elenco delle risposte che vorrei dare all’illustre oratore; ma, scegliendo fior da fiore, una riguarda l’accusa classica che si suole muovere in questa occasione: la Monarchia nel 1922 – cent’anni or sono – ha consegnato l’Italia al fascismo: a tal proposito si consideri la risibile trasmissione, recentissima (14-IX-22), condotta da Aldo Cazzullo su la “La7”, in cui tale “storico”, fra tante altre cose, ha completamente ignorato le violenze che nel 1919-1920 commisero i sovversivi rossi e che provocarono la reazione dei fascisti. Certo, è facile sparare sentenze e pronunciare giudizi col “senno del poi” e a distanza di 100 anni; ma – e lo raccomandavo in classe ai miei cari Alunni dell’ITC di Rozzano – se non si fa lo sforzo di calarsi nella temperie storica in cui si sono svolti i fatti, si rischia di non comprenderli, di ricostruirli per uso politico e di parte, di travisarli, di mitizzarli e, quindi, di raccontare “favole” un po’ come quelle che ci è toccato sentire il 2 giugno nel “comizio” dell’ANPI in piazza.
Mussolini – 39 anni – viene chiamato a Roma da Vittorio Emanuele che gli affida l’incarico di formare il Governo: i fascisti in Parlamento sono 34, sarà di coalizione. Se l’incarico all’ex anarco-socialista-rivoluzionario romagnolo, “figlio del fabbro”, è la “colpa” del re, essa, comunque, fu il risultato di ben altre “colpe” e circostanze di cui è giusto ricordare il peso:
1) le violenze dei sovversivi nel cosiddetto “biennio rosso” (1919-1920): insultavano e aggredivano perfino i Mutilati, accusati di aver voluto la guerra!
2) violenze a cui i fascisti risposero raddoppiandone il peso (1921-1922)
3) le notizie che giungevano dalla Russia dove i soviet con un colpo di mano si erano impadroniti del potere e lo mantenevano eliminando gli avversari
4) i socialcomunisti che predicavano di voler fare in Italia “come in Russia”
5) timori di scontri e di guerra civile tra social-comunisti e fascisti e tra fascisti ed Esercito
6) l’errore di valutazione di molti politici liberal-conservatori che non si resero conto che la guerra (1914-1918), mai vista così sanguinosa – è “l’inutile strage” di Benedetto XV, 1917 – e di tali proporzioni, era uno storico spartiacque tra due epoche e che, dopo di essa, nulla sarebbe stato più come prima specie per nazioni di recente unificazione come l’Italia (1861) e la Germania (1871): il comunismo, il fascismo e il nazional-socialismo sono, infatti, filiazioni legittime di quella guerra; la classe dirigente borghese rimase quanto meno frastornata, non capì la “novità” dei tempi e qualche anno dopo, alla prova del fuoco, in occasione del delitto Matteotti, 1924, non saprà far di meglio che arroccarsi sull’ “Aventino” e pronunciare vane parole, discorsi superati e lanciare inutili proclami, mentre in quei frangenti, avendo iniziativa e un po’ di coraggio, non sarebbe stato difficile defenestrare il Mussolini in evidente difficoltà e che si diceva stesse aspettando a Palazzo Chigi i Carabinieri Reali per essere arrestato quale “mandante morale” di quel delitto.
Così, col discorso del 3 gennaio 1925 ebbe inizio il “regime autoritario” che funzionò con le “leggi fascistissime” e liberticide del 26, coi plebisciti, con la censura sui giornali e le case editrici, il Tribunale Speciale che comminava condanne contro gli avversari politici, ma anche con opere pubbliche, bonifiche e fondazioni di città, la pacificazione con la Chiesa, la Previdenza Sociale, l’Opera Maternità e Infanzia, la diffusione capillare dello sport…: una rara foto ritrae un gruppo di ragazze in gonna-pantalone che eseguono un saggio ginnico nel campo sportivo appena inaugurato nel mio paesello, Rodi Milici in provincia di Messina, ciò accadde per la prima volta nel lontano 1940 e si ripetè ogni sabato mattina fino al 1943, poi non se ne parlò più! Esso – il regime – venne odiato e combattuto da “pochi” suoi nemici irriducibili che seppero affrontare le persecuzioni e il carcere a viso aperto, accettato con rassegnazione da “parecchi” – gli “a-fascisti” – e da “molti” perfino con entusiasmo specie negli “anni del consenso” (De Felice), fra il 1930 e il 1938, anno delle leggi “razziali” e dell’alleanza con la Germania di Hitler; a torto o a ragione gli “entusiasti” vedevano il “corporativismo fascista” come soluzione equidistante tra il capitalismo senza regole e la lotta di classe demolitrice della Nazione, “tra il dominio del dollaro e quello del rublo” riassumeva per noi studenti liceali un vecchio avvocato negli anni 60 a Barcellona in Sicilia; altri lo vedeva come rimedio e alternativa alla Democrazia che in quel primo dopoguerra si mostrava in crisi in gran parte dell’Europa. Ebbe fine solo con la sconfitta delle nostre armi (1943) nella guerra sbagliata e sciagurata che l’Italia, fino all’ultimo sperò, comunque, di evitare o almeno di rimandare; senza questa il fascismo italiano, riveduto e ripulito di orpelli, pennacchi e bolsa retorica, sarebbe durato secoli: diceva, infatti, Giuseppe Prezzolini (1882-1983) che le tre cose inventate dagli Italiani nella Storia Moderna e Contemporanea erano state “i Comuni, il Rinascimento e il Fascismo”. E, poi, protagonisti della caduta del “tiranno” furono gli stessi fascisti, Grandi, Ciano…che la notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943, gli votarono contro nel “Gran Consiglio” e lo misero in minoranza e il re che, sulla soglia di casa, Villa Savoia, lo fece arrestare. Gli “antifascisti” accorreranno dopo e a cose già avvenute perché in quel momento, per quanto “valorosi”, rappresentavano solo se stessi, erano sconosciuti al popolo e, quindi, completamente ininfluenti: così i “fuorusciti” in Francia, in Inghilterra e in America; di più ancora lo erano quei poveri comunisti che, fuggiti in Russia per evitare la galera fascista, finivano nelle carceri di Stalin torturati o, alcuni, fucilati per “deviazionismo” senza che nulla potesse/volesse fare per la loro salvezza il compagno Togliatti, detto il “migliore” che, residente a Mosca ed essendo nel Partito, non poteva non sapere; altrettanto lo erano i “confinati” nei paeselli dell’Italia del Sud o nelle isole di Lipari, Ventotene, Ponza, Lampedusa; in quest’ultima fu mandato diverse volte mio padre, carabiniere, per la “traduzione” anche di detenuti politici in partenza da Porto Empedocle; egli raccontava a lungo di quelle tristi traversate per mare…
E mi raccontava pure dell’Albania, della campagna di Grecia e della prigionia in Germania (1943-45); di quando nei campi tedeschi di lavoro coatto vennero emissari della RSI (Repubblica Sociale Italiana) per invogliare i lavoratori-prigionieri ad arruolarsi nell’esercito repubblicano che i fascisti stavano organizzando nell’Italia del Nord; i più non aderirono ma non per dichiarato “antifascismo” o per consapevole “resistenza” a qualcuno o a qualcosa, come oggi ama ripetere la propaganda delle televisioni e dei giornali, ma perché loro – diceva mio padre – una guerra l’avevano già fatta, gli bastava quella e non erano disposti a combatterne un’altra; un po’ come i gruppi dei “Non si parte” in Sicilia che, richiamati, si rifiutavano di arruolarsi per la guerra che Badoglio aveva dichiarato alla Germania. Mi diceva pure che la “repubblichetta”, così egli chiamava la Repubblica di Salò, aveva avuto la funzione di frenare in qualche modo l’ira dei Tedeschi – la “tedesca rabbia” del Petrarca nella canzone “Italia mia” – che, dopo il plateale “tradimento” dell’8 settembre, avrebbero voluto fare dell’Italia “terra bruciata”, peggio della Polonia. Mio padre, appassionato lettore e recitatore di molti versi della Divina Commedia, sicuramente non era uno storico e meno ancora un libro stampato ma un semplice testimone di grandi eventi di cui, suo malgrado, era stato spettatore; come testimoni lo erano molti anziani da me interpellati fin da ragazzo quando, alle Medie, con ingenua curiosità cominciai a pormi delle domande e appassionarmi alla Storia patria. Così, approdato a Milano dalla Sicilia (1963) “con un mantello corto e alcuni versi in tasca” non mi parve vero di potere intervistare qualche protagonista della parte degli “sconfitti” e che 20 anni prima si era arruolato volontario nell’esercito fascista della RSI; nel 1963 i ventenni del 43 avevano intorno ai 40 anni, quindi mi poterono raccontare lucidamente cosa avevano visto, ciò che avevano fatto e, soprattutto, perché erano andati volontari: ne sortiva, man mano che si dipanava il loro racconto, intanto un mondo di sentimenti ed ideali completamente diverso dal nostro e, poi, una contro-cronaca lontana da quella scritta sui libri di testo per le scuole e propagandata dalle televisioni e sulle piazze e – si badi – senza che in loro apparisse il menomo senso di colpa o pentimento per l’“errore” commesso di essersi schierati dalla parte sbagliata e perdente per cui i vincitori li incolpavano; qualcuno mi disse pure che in 20 mesi di militanza nella Repubblica Sociale lui non aveva avuto la ventura di vedere la faccia di un partigiano. Domanda: sapevano, questi giovani, che in Germania erano in funzione i campi di stermino degli Ebrei, organizzati dai nazional-socialisti tedeschi, alleati della Repubblica Sociale? Rispondo: e come facevano ad indovinarlo, poveri ragazzi che si arruolavano convinti di salvare l’“onore della Patria”, mentre non lo sapevano, o fingevano di non saperlo, manco le Autorità Anglo-Americane che lasciavano bruciare Dresda dai bombardieri inglesi (13/14 febbraio 1945 con 80 mila morti civili in una sola notte!) ma si rifiutavano di colpire le linee ferroviarie intorno ad Auschwitz per impedire il flusso dei deportati?
Sintetizzando e stringendo il discorso, mi sono anche persuaso che nella tragedia della “guerra civile” si fronteggiarono due minoranze, come il più delle volte avviene nella Storia, e che la partecipazione di “tutto il popolo” alle vicende del 43-45 è una favola che ad ogni “refezione scolastica” viene recitata, con applauso assicurato, dai “presidenti” di qualcosa; due fazioni, fascisti e partigiani, si contesero il campo talvolta in modo feroce come suole accadere nelle guerre tra fratelli: proditori assassinii e attentati terroristici coinvolgenti pure civili con donne e bambini innocenti da una parte e ritorsioni con rappresaglie indiscriminate dall’altra; i partigiani, ridotti a poche migliaia in certi momenti e divenuti un “esercito” smisurato solo nell’aprile del 45, appartennero a tanti partiti – ve ne furono anche monarchici – ma i comunisti erano maggioranza e, soprattutto, combattevano una loro guerra “privata” e spietata con lo scopo di abbattere una dittatura italiana e sostituirla con una di stampo sovietico: si guardino – ad esempio – le loro gesta gloriose nella Venezia Giulia in favore delle bande titine che infoibarono migliaia di Italiani tentando di annettere mezzo Veneto alla Iugoslavia. Questo ci fa pensare che, a vittoria conseguita, essi avrebbero eliminato con le buone o con le cattive le altre forze politiche come puntualmente avvenne nelle Nazioni dell’Europa dell’Est che la dabbenaggine di Roosevelt – credeva Stalin suo amico! – abbandonò all’Armata Rossa. Da noi , grazie a Dio, ciò non accadde per la presenza degli Alleati che bombardarono e distrussero – non dimentichiamolo! – perfino nostre cattedrali e abbazie ma ci salvarono dal comunismo; e poi ci fu la Liberazione, finalmente completa, dall’incubo con le elezioni miracolose del 18 aprile del 1948 – avevo cinque anni e ricordo mia mamma che con tono lirico e a voce spiegata cantava l’inno della Democrazia Cristiana “Udimmo una voce, corremmo all’appello, avanti la Croce del Re d’Israello…!” – quando comunisti e socialisti uniti nel “Blocco del Popolo” erano sicuri di vincere – Nenni barricadiero e guascone vociava in un comizio: “il prete non esca da quella porta!” e col dito mostrava minaccioso una chiesa – e invece persero clamorosamente nel confronto coi cattolici e i laici anticomunisti ispirati da Pio XII, da qui l’odio implacabile contro il grande Papa, poi falsamente accusato di non avere aiutato gli Ebrei: Pacelli aspetterà secoli per la beatificazione! Ma fino a quel 18 aprile molti partigiani dormirono con le armi al piede, lubrificate e pronte all’uso tanto che per il referendum del 2 giugno avevano minacciato che, se avesse vinto la Monarchia, loro avrebbero scatenato la Rivoluzione; parlavano allora di “vento del Nord”. È chiaro che, avendone l’età, il 2 giugno del 46, io avrei votato Monarchia, come del resto fecero mio padre e mia mamma e la stragrande maggioranza del popolo italiano del Sud.
Con queste veloci, personali e, di sicuro, incomplete e magari provocatorie considerazioni voglio esprimere in libertà la mia opinione e anche significare che la Storia è una materia a dir poco complessa specie se studiata con onestà intellettuale e in modo diverso da come ci è propinata dalla propaganda. Così, in margine al discorso, mi domando talvolta cosa ci sia da “celebrare” tenuto conto che i più tra i “resistenti” appartenevano al partito “sovietico” a cui – per nostra fortuna – le circostanze impedirono di prendere il potere in Italia; ché altrove, dove la loro dittatura si impose coi carri armati, la Liberazione potè avvenire solo molti anni dopo, con la caduta del famigerato Muro di Berlino, 1989.
Concludo
suggerendo a quelli dell’ANPI, che magari frequentano le scuole e parlano ai ragazzi per ricordare i partigiani e la funzione che ad essi fu assegnata dalla Storia, che oggi il problema urgente non è “celebrare” eroismi veri o presunti e che risalgono a 80 anni fa ma la Rivoluzione “culturale” che imperversa dal 1968 (è data simbolica ed emblematica!) e, nel nome dei cosiddetti “diritti civili”, impone una famiglia “altra” e tenta di distruggere quella vera (uomo-padre, donna madre che possono generare figli) e, di conseguenza, la società; la tragedia dei papà separati: si parla di 900 mila giovani padri costretti a ritornare nella casa dei genitori per sopravvivere e a cui talvolta viene perfino negato il diritto di vedere i propri figli che – ovviamente – non hanno punti precisi a cui ancorarsi e si smarriscono (v. “Libero”, 27-XI-2018); il seme maschile comprato ad apposite “banche” con conseguente “costruzione” di bambini in serie come le automobili; la compravendita del corpo delle donne col barbaro costume dell’ “utero in affitto” che strappa alla donna il bambino che ha portato in grembo per 9 mesi e vieta a questi il sacro diritto di conoscere i propri genitori; il crollo epocale della natalità – le “culle vuote” o “inverno demografico” – frutto della corruzione e di politiche dissennate dei nostri Governi in questi 50 anni contro la Famiglia e che porterà in futuro all’annichilimento del popolo italiano, forse rendendo accettabile e perfino “necessaria” la scorciatoia dell’ eutanasia per una massa di vecchi costosi e sempre più numerosi; la Rivoluzione “antropologica” che tenta di ri-creare un homo novus, distruggendo la verità della diversità sessuale – né maschio né femmina – di tanti ragazzi per mezzo della ideologia del gender che insegnanti “primi della classe” ed “esperti” esterni pagati da noi insinuano nelle scuole con parole “orwelliane” e in apparenza innocue come “educazione all’affettività” o “alla sessualità” e simili, nella ignoranza colpevole di genitori e nonni che si fidano ciecamente…
Il rappresentante dell’ANPI abbia il coraggio di andare contro vento e combatta questa buona battaglia che io – quidam qualsiasi – gli suggerisco anche a nome e in memoria di quei Partigiani – pochi o molti – che si sacrificarono per gli ideali nobili della Patria: farà cosa meritoria per la società che sicuramente gliene sarà grata.
Carmelo Bonvegna