La Storia si ripete, la Verità fa ancora paura. A distanza di 78 anni il martirio di don Angelo Tarticchio, il parroco di Rovigno che fu torturato, evirato e gettato vivo in una foiba, non si può scrivere che i suoi aguzzini erano “comunisti jugoslavi di Tito”. Leggo la notizia dal Giornale e da Libero di oggi. Il Comune di Milano (Municipio 2) aveva deciso di mettere una targa in piazzale Salvatore Farina, in viale Zara.
Un gesto significativo, in memoria di una delle tante vittime del comunismo. Eppure, a due giorni dalla cerimonia è arrivato lo stop del Comune. Secondo la giunta Sala, il Municipio 2 non ha sottoposto la realizzazione della targa alla Commissione “Milano è memoria”. Senza il via libera della Commissione, la targa non si può scoprire. Secondo l’esponente della Lega, Samuele Piscina, si tratta di una vera e propria censura, “è una decisione ideologica che vuole ancora oscurare l’orrore del comunismo”.
Intanto intervistato dai giornalisti, Piero Tarticchi, 85 anni, il nipote di don Angelo, ha detto: “noi crediamo di poter usare le parole col loro vero significato, invece ancora oggi ci è permesso di scrivere solo ciò che vogliono”. Nella targa da scoprire era prevista la scritta: “Sacerdote infoibato dai comunisti jugoslavi”. Gli uffici hanno fatto sapere che non va bene. “Il Comune vuole cambiarla – spiega Piero – Purtroppo, ci sono cose che si possono dire e altre che si devono tacere”. Praticamente la Commissione ha suggerito che “il riferimento ai comunisti bisogna toglierlo e sostituirlo con miliziani, ma non mi sembra che Tito avesse una milizia”
Il sacerdote è stato ucciso ferocemente nel settembre del 1943, solo per la sola veste sacra che portava. I pompieri di Pola quando hanno recuperato la salma, lo trovarono completamente nudo, con il corpo martoriato, i genitali tagliati e conficcati in gola. Sulla testa portava ancora una corona di filo spinato come Nostro Signore Gesù Cristo.
La famiglia di Piero ha avuto sette infoibati. Quando assistette ai funerali di suo zio Angelo aveva sette anni. “Ricordo mio padre che mi stringeva la mano e non poteva immaginare che 20 mesi dopo avrebbe fatto la stessa fine”.
DOMENICO BONVEGNA
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