Diffamazione, il ddl in Aula. No a carcere ma multe salate

Abolizione del carcere per chi è condannato per diffamazione. Lo prevede il ddl che ha avuto il sì della commissione Giustizia della Camera. La Fnsi: il ddl intimorisce i giornalisti. Intanto la Cassazione interviene su Sallusti: ha una spiccata capacità a delinquere. "Diffamazione, riforma al rush finale, mentre la Cassazione spiega il suo sì al carcere per Alessandro Sallusti perchè ha ritenuto esente da censure la condanna inflitta dalla Corte d’appello di Milano. I giudici di secondo grado – scrive il SOLE 24 ORE – avevano basato la loro decisione sulla ‘spiccata capacità di delinquere’ dell’imputato, sul peso della recidiva (7 condanne all’attivo) e sulla ‘gravità del fatto’ (un articolo critico con un giudice in un caso di aborto). E’ quasi una staffetta tra nuovo e vecchio regime sulla diffamazione quella che si registra nelle ultime ore: ieri i motivi della Cassazione sulla conferma dei 14 mesi di detenzione a Sallusti per la pubblicazione di un articolo su Libero ritenuto diffamatorio. Oggi, l’approdo in Aula al Senato del ddl che aggiorna le norme, dopo l’ok unanime in commissione Giustizia. Una riforma, questa, tornata all’ordine del giorno proprio sull’onda delle polemiche seguite alla sentenza con cui la Cassazione ha ritenuto legittima la condanna al direttore del Giornale. Molte le novita’, a cominciare dall’abolizione del carcere e l’inasprimento delle multe, che in caso di diffamazione con attribuzione di fatto determinato varieranno da 2mila a 100mila euro. Il giudice dovra’ tener conto della gravita’ del fatto e della diffusione della testata. Via anche la riparazione pecuniaria, per la parte offesa resta solo la possibilita’ del risarcimento dei danni patrimoniali e non in sede civile. Confermata, come pena accessoria l’interdizione dalla professione (1-6 mesi) prolungabile fino a tre anni in caso di recidiva reiterata. Cuore della riforma e’ la rettifica, destinata per Severino ad avere ‘un ruolo centrale’: i direttori di quotidiani, periodici e testate on line dovranno pubblicare gratuitamente e in fretta dichiarazioni o rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri ritenuti lesivi della dignita’ o non veritieri. In caso contrario, gli offesi potranno rivolgersi al giudice per ottenere la pubblicazione ‘forzata (à)’".

"Il senatore pd Vincenzo Vita – scrive LA REPUBBLICA – esce sbuffando dalla commissione Giustizia del Senato, dov’e’ stata appena approvata la riforma della diffamazione: ‘Sono avvilito. Va malissimo’. La capogruppo democratica Anna Finocchiaro si presenta al sit-in dei giornalisti al Pantheon per dire che si’, quel testo appena varato e’ da cambiare. Il segretario dell’Fnsi Franco Siddi parla di azione ‘liberticida ‘ e ‘dal sapore fascista’. Questo il clima attorno a una legge che doveva salvare il direttore del Giornale Alessandro Sallusti dal carcere, e che per farlo inasprisce a dismisura le pene per i giornalisti. Estendendole anche a siti, blog, motori di ricerca. Il ddl va in aula oggi, sara’ approvato domani, poi passera’ alla Camera. Pd, Udc e IdV dicono di volerlo cambiare, ma anche tra loro c’e’ chi lo considera ‘un punto di equilibrio’ come il presidente dei senatori pdl Maurizio Gasparri. E come il senatore pd Felice Casson. Il primo punto sono le sanzioni. ‘In caso di diffamazione a mezzo stampa, con l’attribuzione di un fatto determinato, si applica la multa da 5mila a 100mila euro, tenuto conto della gravita’ dell’offesa e della diffusione dello stampato ‘. Pene raddoppiate in caso di recidiva. ‘Tutto questo- dice Siddi – in contemporanea con il mantenimento delle cause civili milionarie, ha il sapore di una minaccia preventiva nei confronti della libera stampa’. Non basta. Ci sono le pene accessorie, tra cui ‘l’interdizione della professione per un periodo da uno a sei mesi. In caso di reiterazione nei due anni successivi, da sei mesi a un anno. E in caso di ulteriore condanna da uno a tre’. Senza passare dall’ordine dei giornalisti. C’e’ poi la norma che secondo la relatrice pd Della Monica e’ anti-macchina del fango, ma che Luigi Zanda, del suo stesso partito, considera un’assurdita’: ‘La pena e’ aumentata fino alla meta’ qualora il fatto sia commesso dall’autore, dal direttore o dal vicedirettore, dall’editore, dal proprietario, o comunque da almeno tre persone’. Come? Con riunioni prima di scrivere un pezzo? Firmando tutti insieme? L’emendamento non è chiaro. ‘Salterà, predice Zanda, che pero’ – di tutta la bagarre in commissione, della mediazione saltata sulla sanzione massima a 50mila euro dice pure: ‘E’ il segno orrendo di come un pezzo del Parlamento considera la stampa’. Perche’ se l’emendamento Caliendo anti-Gabanelli, quello che toglieva la copertura economica dell’azienda al giornalista, è stato ritirato, restano altre pene accessorie, come la diminuzione o la perdita del contributo pubblico dei giornali che ce l’abbiano. E non c’e’, mette in luce il presidente Fnsi Roberto Natale, ‘la possibilita’ che la rettifica interrompa l’azione penale’. Un’eventualita’ messa in luce dallo stesso ministro della Giustizia Paola Severino, che ha spiegato: ‘Una volta che c’e’ la rettifica il processo penale puo’ anche fermarsi se c’e’ piena soddisfazione della persona offesa’. Questo principio nel ddl non e’ passato. La rettifica puo’ portare solo a una diminuzione della pena. In piu’, spiega il deputato centrista Roberto Rao, ‘le condizioni per richiederla sono troppo ampie nei contorni, mentre troppo stringenti diventano le forme con cui dovra’ essere effettuata ‘. E cioe’, si legge all’articolo 8, ‘Il direttore e’ tenuto a pubblicare le rettifiche dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o cui siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della dignita’ o contrari a verita’, purche’ le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale’. E dovranno essere pubblicate non oltre due giorni dalla richiesta, nella stessa pagina in cui e’ apparsa la notizia, in testa di pagina, nella loro interezza, senza commento. Il giudice puo’ costringere il giornale a pubblicarle, e puo’ imporre di pagarne la pubblicazione su altri giornali. Senza preoccuparsi che tali rettifiche – come chiede uno dei primi firmatari della legge, Vannino Chiti, ora scettico – siano in alcun modo ‘documentate’. Infine, la stretta riguarda anche Internet: ‘L’interessato puo’ chiedere ai siti e ai motori di ricerca l’eliminazione dei contenuti diffamatori o dei dati personali’. In caso di inottemperanza, anche qui, multe fino a 100mila euro".

Lo stesso Sallusti interviene sulla questione con un editoriale sul GIORNALE. "C’e’ qualcosa che fa peggio dell’ipotesi di finire in carcere. E’ prendere atto di quanto violenta, falsa e arrogante possa essere la giustizia se affidata a mani indegne. E’ successo ieri, leggendo le motivazioni della sentenza, firmata da tale Aldo Grassi e tale Antonio Bevere (consigliere estensore), con cui la Cassazione mi condanna a 14 mesi di reclusione per un articolo neppure scritto da me. Si legge che io avrei una ‘spiccata capacita’ a delinquere’, mi paragona a un delinquente abituale. E’ una vera infamia, che non permetto neppure a un presidente di Cassazione, basata su odio ideologico e su una serie di menzogne. Mi prendo tutta la responsabilita’ di quello che dico e sollevo il mio editore dal risponderne in tribunale. Ve lo dico io, in faccia, signori Grassi e Bevere: avete abusato del vostro potere, la vostra sentenza e’ un’infamia per me e per i miei parenti.
Non si gioca con la vita delle persone come se fossero cose nella vostra disponibilita’ senza pagare dazio. Le motivazioni della vostra sentenza sono delinquenziali, non il mio lavoro. Sono parole basate su falsi, montate per costruire teoremi che esistono solo nella vostra testa. E ve lo spiego. E’ falso che io abbia scritto alcunche’. E’ falso che io abbia deliberatamente pubblicato notizie sapendole false. E’ falso che io mi sia rifiutato di pubblicare una smentita, nessuno me l’ha mai chiesta ne’ inviata. E’ falso che sul mio giornale dell’epoca, Libero , sia stata pubblicata una campagna contro un giudice (un articolo di cronaca ripreso da La Stampa e un commento non possono in alcun modo costituire una campagna). E’ falso che non fosse possibile identificare chi si celava dietro lo pseudonimo Dreyfus: bastava chiederlo, non a me che come direttore sono tenuto al segreto deontologico, ma a chiunque e avreste accertato che si trattava di Renato Farina (lui stesso lo ha scritto in un suo libro). E’ falso che io abbia un numero di condanne per omesso controllo (7 pecuniarie in 35 anni di mestiere) superiore alla media dei giornalisti e direttori di quotidiani italiani. Delinquente, quindi, lo dite a qualcun altro. Non vi stimo, non vi rispetto, non per la condanna, ma per quelle vostre parole indegne. Vergognatevi di quello che avete fatto. E forse non sono l’unico a pensarla cosi’. Ci sara’ un motivo se il Parlamento sta lavorando per cancellare la vostra infamia e se un vostro collega, il procuratore di Milano Bruti Liberati, si rifiuta di applicare la vostra sentenza del cavolo nonostante io mi sia consegnato alle patrie galere, in sfregio a voi, rinunciando a qualsiasi pena alternativa. E adesso fate pure quello che credete, rispetto a me e alla mia storia siete un nulla".