Diffamazione: In aula torna carcere giornalisti, ddl si arena

La legge sulla diffamazione "è su un binario morto": la giornata a palazzo Madama è sintetizzata efficacemente da questo commento di Filippo Berselli, presidente della commissione Giustizia del Senato e relatore del provvedimento, affossato oggi in aula da un voto segreto che reintroduceva il carcere per i giornalisti.

L’emendamento della Lega ha raccolto ufficialmente solo il consenso dell’Api, ma i 131 senatori che lo hanno approvato vanno ben oltre la potenza di fuoco dei due gruppi interessati. E’ saltato così l’accordo politico che Berselli aveva definito "blindato", dopo l’ok al nuovo testo da lui proposto in commissione e dopo che lui stesso aveva dato parere favorevole su sei emendamenti che andavano incontro ad alcune osservazioni dell’aula. Viene a mancare, come ha spiegato ai cronisti lo stesso Berselli, il salvagente per il direttore del Giornale Alessandro Sallusti, condannato in via definitiva a 14 mesi: se la nuova legge non esclude in toto la reclusione, non può annullare gli effetti di una sentenza passata in giudicato.

Per l’esponente del Pdl si è trattato "di un voto trasversale contro la stampa, un voto di pancia e non di cervello, perché a questo punto rimarrà la norma attuale". Il presidente del Senato Renato Schifani era accorso in aula, nel pomeriggio, dopo la presentazione di una richiesta di voto segreto su alcuni emendamenti della Lega e del’Api e sul complesso dell’articolo 1.
Ma dopo il voto segreto sulla proposta del Carroccio non ha potuto fare altro che chiedere ai gruppi se ritenessero opportuna una "riflessione". Riflessione che, con il solo dissenso di Lega e Api, è stata poi affidata a una conferenza dei capigruppo convocata per domani alle 12.30. Ma "la capigruppo non può certo rimandare il testo in commissione per un nuovo esame", ha ammonito Berselli.

Molti i commenti negativi su quanto è accaduto a palazzo Madama. Per il capogruppo del Pdl Maurizio Gasparri "è discutibile nascondersi dietro il voto segreto", che pure è "legittimo". E chi lo ha fatto "rischia così di far rimanere in vigore le leggi vigenti". Secondo Gianpiero D’Alia dell’Udc il Senato ha lanciato "un segnale di vendetta che disonora il Parlamento".

Netta chiusura a ogni ipotesi di recupero del ddl dal capogruppo del Pd Anna Finocchiaro. Il voto, ha affermato, "è stato usato come rappresaglia contro la libertà di stampa" ed "ha di fatto vanificato il tentativo di adottare un provvedimento che garantisse allo stesso tempo il diritto all’informazione e la tutela della dignità e onorabilità della persona". In ogni caso "a questo punto si impone che il provvedimento venga ritirato", ha ammonito l’esponente democratica. I democratici Vannino Chiti e Vincenzo Vita hanno commentato: "l’esito che sembra profilarsi è persino peggiore rispetto al testo attualmente in vigore" e hanno ribadito la richiesta di fermare l’iter della legge. Per Luigi Li Gotti dell’Idv il dato da sottolineare è che "a causa del voto segreto, nessuno ci ha messo la faccia, solo Lega e Api, cioè due partiti piccoli, che erano i promotori di questo emendamento che in commissione tutti gli altri gruppi avevano bocciato". In questa versione la norma comunque, testimonia a suo giudizio di "un arretramento culturale" del Parlamento.

Di "pagina vergognosa" ha parlato dal canto suo il sindacato dei giornalisti. "L’unica soluzione possibile" per il ddl "è affossarlo definitivamente", in caso contrario la Fnsi ha annunciato di essere pronta a "ogni azione possibile", perchè "la libera informazione, in democrazia, non è mai un nemico da abbattere".