Niente ddl Sallusti, come qualcuno aveva battezzato la riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa sulla quale il Senato si è affannato per un paio di mesi: bocciato in aula a voto segreto (123 contrari, 29 favorevoli, 9 astenuti) l’articolo 1, con la defezione decisiva del Pdl, il provvedimento torna in un cassetto ed è destinato a rimanerci.
Accade nel giorno in cui il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, condannato in via definitiva a 14 mesi di reclusione, ha ricevuto l’ordine di arresto (ai domiciliari) dalla Procura di Milano, ed è caduta quindi anche simbolicamente la motivazione per l’iter accelerato che in origine il presidente del Senato Schifani aveva caldeggiato per il ddl promosso da Vannino Chiti del Pd e Maurizio Gasparri del Pdl.
E’ stato proprio Gasparri a recitare il de profundis alla riforma chiamando il Pdl a non partecipare al voto, dopo un ultimo disperato tentativo del suo vice Gaetano Quagliariello, che aveva preso la parola in aula per chiedere invano al Pd di rinunciare al voto segreto sull’articolo 1.
Troppo severo per alcuni, con le pene pecuniarie elevate fino a 50mila euro, troppo tenue per altri, opinioni che nel segreto del voto avrebbero potuto somarsi e affondare un provvedimento per il quale Gasparri si era battuto a lungo, cercando un compromesso con il Pd poi saltato due settimane fa per via di un altro voto segreto: quello sull’emendamento della Lega nord che aveva reintrodotto il carcere per i giornalisti, sia pure fino a un anno (la legge vigente prevede sei anni come pena massima) e solo come alternativa alla multa.
Nell’esito della discussione parlamentare Gasparri ha ravvisato, dopo la sua ritirata strategica in aula, la vittoria del "fronte del carcere". Ma ha ribadito che a suo giudizio è stato giusto procedere sull’onda del caso concreto del giornalista condannato: "Del resto – ha commentato – i magistrati, arrestando Sallusti ‘ma non troppo’, hanno dimostrato la giustezza della nostra battaglia".
Soddisfatta la Fnsi, che dopo la minaccia rientrata dello sciopero ha confermato la fiaccolata di protesta "anche come momento di ringraziamento per chi si è battuto contro una legge assurda e pericolosa". Soddisfatto anche il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino, che tuttavia, facendo notare che è rimasta in vigore "la vecchia legge, che è brutta", ha lanciato un appello perché, "fra una legge a favore delle banche e una per le assicurazioni" se ne faccia "anche una per garantire ai cittadini il diritto a un’informazione libera".
Successo pieno per i gruppi di centrosinistra: Anna Finocchiaro (Pd)ha rinviato la questione "alla prossima legislatura". Sulla stessa linea Francesco Rutelli (Api), che ha parlato di "pessima legge" ma ha denunciato "la campagna assurda che ha distorto e censurato la battaglia" del suo gruppo per migliorare il ddl. Luigi Li Gotti di Idv ha celebrato la fine "dell’accanimento terapeutico" contro i giornalisti e la bocciatura di una "proposta incostituzionale che prevedeva il carcere per i giornalisti ma non per il direttore responsabile concorrente nello stesso reato". "Il no del Senato all’articolo 1 del ddl sulla diffamazione riabilita il Parlamento", ha detto dal canto suo il capogruppo Udc Gianpiero D’Alia.
Non a caso la Lega nord, con le parole di Roberto Mura, ha attribuito al centrosinistra l’obiettivo del "mantenimento della legge vigente". Apparentemente isolata la voce di Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, che dall’altro ramo del Parlamento ha lanciato un appello: "Recuperiamo – ha detto – l’accordo sulla diffamazione, elaborato e poi saltato in Parlamento, e mettiamo fine al più presto a una situazione assurda e paradossale che da troppe settimane tiene banco e che sta offrendo dell’Italia uno spettacolo non degno di un Paese democratico e civile quale il nostro dovrebbe essere".