Caso Sallusti e richiesta di grazia. Ci hanno preso in giro!

La richiesta di grazia per il direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, condannato per diffamazione, ci fa capire diverse cose. La battaglia contro la condanna ci era stata presentata come baluardo della libertà di espressione, mobilitando molte persone che hanno evidenziato l’assurdità dell’attuale normativa penale, perorandone abolizione e/o modificazione. Ma con la richiesta di grazia -a nostro avviso- si dissolve la battaglia per la libertà d’espressione, facendola risaltare come battaglia di una parte politica contro un’altra: il giornalismo di centro-destra contro la magistratura. Altrimenti, che senso avrebbe la domanda di grazia per chi ha evidenziato fino a oggi le leggi liberticide che nel nostro codice puniscono la diffamazione in particolare e la libertà di espressione più in generale? Se il singolo condannato ha deciso per qualunque motivo di tirarsi indietro dalla battaglia, la domanda di grazia avrebbe senso. Ma per chi, come nel nostro caso, continua a proclamarsi vittima di un sistema e di una normativa liberticida, appare solo una clamorosa contraddizione: che in nome dei diritti costituzionali, umani ed universali a cui ci si è richiamati fino a oggi, si è solo esternata una propria battaglia finalizzata a indicare la magistratura come colpevole di questo assassinio di libertà. A noi non ci è sembrato che la magistratura avesse questa grande responsabilità, perchè ha applicato la legge. Responsabilità che invece ha il legislatore nell’aver accettato che nei nostri codici continuassero a sussistere questi reati. Il direttore Sallusti avrebbe potuto cavalcare la situazione a partire dalla privazione della propria libertà, ma con la richiesta di grazia ci ha detto esplicitamente che a lui -questo- poco interessa, perchè è importante dire che i magistrati sono brutti e cattivi e poi, per se stesso, cavarsela dall’uscita di servizio.
Se qualcuno, attento al caso Sallusti, aveva sperato che qualcosa avrebbe potuto cambiare, crediamo che debba ricredersi: il direttore de “Il Giornale” sta combattendo la sua battaglia politica contro la magistratura e non quella per la libertà di espressione.

Vincenzo Donvito, presidente Aduc