Nell’ambito del processo di conversione dei segnali televisivi al sistema digitale, il passaggio definitivo al digitale doveva avvenire, in Italia, entro il novembre del 2012. La legge finanziaria italiana del 2004 ha previsto un contributo pubblico di 150 euro per ogni utente che acquistasse o prendesse in locazione un apparecchio per la ricezione dei segnali televisivi digitali terrestri. La legge finanziaria del 2005 ha previsto lo stesso contributo pubblico, per un importo ridotto a 70 euro. A seguito di denunce presentate dalla Centro Europa 7 Srl e dalla Sky Italia Srl, la Commissione ha dichiarato, con decisione 2007/374 , che il regime di aiuti in questione era illegittimo e incompatibile con il mercato interno ed ha imposto all’Italia di procedere al recupero, nei confronti dei beneficiari, dell’aiuto e dei relativi interessi. Dopo l’adozione di tale decisione, la Commissione e l’Italia hanno cooperato al fine di identificare i beneficiari e di quantificare con precisione gli importi da recuperare. In particolare, con lettera del 1° aprile 2008, la Commissione ha approvato il metodo utilizzato dall’Italia, cioè un sondaggio demoscopico diretto a stabilire il numero di utenti supplementari risultante dall’aiuto, il ricavo medio per utente, nonché i profitti supplementari. La Commissione ha anche concordato con le conclusioni secondo cui la TIMedia e la Fastweb non avevano ottenuto alcun profitto supplementare e non erano dunque soggette ad obbligo di restituzione. Di contro, la Commissione ha indicato che l’importo da recuperare presso la Mediaset ammontava a 6 844 361 euro. Sulla base di nuovi elementi, la Commissione, con lettera dell’11 giugno 2008, ha ridotto tale importo a 4 926 543 euro. A seguito di ingiunzione emessa dalle autorità italiane nel 2009, la Mediaset ha versato la somma di 5 969 442 euro (comprensiva degli interessi) ed ha adito al contempo il Tribunale civile di Roma, invocando l’erronea applicazione dei criteri di quantificazione stabiliti nella decisione della Commissione e l’erroneità dei calcoli effettuati per determinare i profitti supplementari derivanti dall’aiuto. È stata allora disposta una perizia, le cui conclusioni sono state presentate nel 2011. Pur formulando critiche riguardo al sondaggio demoscopico e ai modelli econometrici utilizzati, la perizia ha affermato che non era stato dimostrato che l’aiuto avesse effettivamente influenzato le vendite di decoder nel corso del periodo preso in considerazione. Il giudice italiano si è dunque rivolto alla Corte di giustizia per stabilire se, al fine di garantire l’esecuzione di una decisione della Commissione che dichiara un regime di aiuti illegittimo e incompatibile con il mercato interno, ma che non identifica i singoli beneficiari e non determina con precisione gli importi da restituire, il giudice nazionale si trovi vincolato dalle prese di posizione ulteriori dell’istituzione, relative all’importo esatto da recuperare presso un beneficiario determinato. Nella sentenza odierna, la Corte ricorda innanzitutto che l’istituzione del sistema di controllo degli aiuti di Stato spetta, da un lato, alla Commissione, e, dall’altro, ai giudici nazionali, fermo restando che i loro rispettivi ruoli sono complementari ma distinti. La Commissione dispone dunque di una competenza esclusiva, sotto il controllo dei giudici dell’Unione, nel valutare la compatibilità di un aiuto con il mercato interno. Essa non è invece tenuta, all’atto di ordinare la restituzione di un aiuto dichiarato incompatibile con il mercato interno, a determinarne l’importo esatto. È sufficiente che la decisione contenga elementi che permettano al suo destinatario di determinare esso stesso, senza difficoltà eccessive, tale importo. La decisione 2007/374 è dunque obbligatoria nei confronti dell’Italia, che ne è destinataria, e vincola il giudice nazionale. Di contro, le lettere che la Commissione ha successivamente indirizzato all’Italia nell’ambito dello scambio di comunicazioni finalizzato a garantire l’esecuzione della decisione – lettere che identificano la Mediaset come beneficiaria e precisano l’importo esatto degli aiuti da recuperare presso tale impresa – non costituiscono decisioni. Di conseguenza, tali prese di posizione della Commissione nell’ambito dell’esecuzione della decisione non vincolano il giudice nazionale. Tuttavia, la Corte sottolinea che, nell’ambito della leale cooperazione tra i giudici nazionali e la Commissione, i primi devono adottare tutte le misure idonee ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Se il giudice nazionale nutre dei dubbi o riscontra delle difficoltà nella quantificazione dell’importo da recuperare, può rivolgersi alla Commissione. Nella misura in cui gli elementi contenuti nelle prese di posizione della Commissione mirano a facilitare la realizzazione del compito delle autorità nazionali nell’ambito dell’esecuzione della decisione di recupero, il giudice nazionale deve tenerne conto ai fini della valutazione della controversia e motivare la propria decisione alla luce dell’insieme degli atti contenuti nel fascicolo che è stato sottoposto alla sua attenzione. La Corte ricorda inoltre che, in mancanza di disposizioni di diritto dell’Unione in materia, gli aiuti dichiarati incompatibili con il mercato interno devono essere recuperati secondo le modalità previste dal diritto nazionale, purché queste ultime non si risolvano nel rendere praticamente impossibile il recupero e non violino il principio di equivalenza rispetto ai procedimenti volti a dirimere controversie esclusivamente nazionali dello stesso tipo. Qualora la Commissione, nella sua decisione, non abbia identificato i beneficiari né determinato con precisione gli importi da restituire, il giudice nazionale può dunque concludere, senza rimettere in discussione la validità della decisione né l’obbligo di restituzione degli aiuti, che l’importo da restituire è pari a zero, quando una simile conclusione derivi dai calcoli effettuati sulla base dell’insieme degli elementi rilevanti portati a sua conoscenza.