dI RAFFAELE BONANNI
Segretario generale Cisl
Spesso mi capita di essere intervistato da giovani giornalisti che non hanno alcun contratto. Lavorano praticamente a tempo pieno per lo stesso editore con la partita Iva oppure come collaboratori a progetto, senza ricevere lo stesso compenso di tutti gli altri: non hanno previdenza, assistenza in caso di maternità, ferie, malattie pagate, diritti sindacali. Sono lavoratori invisibili, i veri lavoratori precari. Ma è solo la punta di un icerberg.
Si calcola che in Italia ci siano 650 mila Cocopro, almeno 500 mila finti lavoratori con la partita Iva, 54 mila collaboratori nella pubblica amministrazione, 52 mila associati in partecipazione. Qui si annida la precarietà. È un esercito che aumenta ogni giorno nel silenzio assoluto di tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Formalmente sono liberi professionisti che operano in regime di monocommittenza, cioè per una sola azienda, con tutti i vincoli di subordinazione che ne derivano. Questo è il vero scandalo italiano su cui regna un’omertà assoluta. Il Jobs Act di Renzi dovrebbe affrontare questo tema e non quello dei contratti a termine che sono regolati per legge e impongono gli stessi orari, gli stessi contributi, la stessa paga, insomma, le stesse garanzie e gli stessi diritti dei lavoratori a tempo indeterminato. Lo aveva ben compreso Marco Biagi, al contrario di quanto sostenevano i suoi detrattori politici ed i suoi assassini. Lui voleva abolire le Co.co.co e regolamentare meglio il mercato del lavoro per dare più tutele e più garanzie ai giovani.
LA LEGGE BIAGI
Grazie alla legge che porta il suo nome abbiamo regolarizzato a tempo indeterminato migliaia di giovani collaboratori nei call center e in tantissime aziende pubbliche e private. Bisognerebbe spiegare questa realtà ai giovani, nelle scuole e nelle aule universitarie. Il povero Biagi si batteva con convinzione e realismo contro la precarietà nel mercato del lavoro e contro tutte quelle forme “pirata” che rendono i giovani schiavi di un sistema omertoso e vessatorio. Ecco perché la Cisl intende continuare proprio nel nome di Marco Biagi questa battaglia per cambiare il mercato del lavoro e costringere le aziende a regolarizzare tutte queste forme di lavoro autonomo che in realtà mascherano dei veri e propri rapporti di lavoro dipendente. Spesso si accusa anche il sindacato di preoccuparsi solo dei lavoratori con il posto sicuro o a tempo indeterminato. Ma è una analisi ingenerosa, frutto anche di un connubio perverso tra ambienti ideologizzati e i soliti “furbetti” che si annidano nel settore dei servizi. È chiaro che dobbiamo fare anche noi di più. Da alcuni anni abbiamo cercato di affrontare il tema dei “nuovi” lavori, aggregando e tutelando anche gli atipici e i parasubordinati in categorie ad hoc. Il lavoro flessibile va pagato di più e deve avere più tutele e garanzie di tipo previdenziale. La flessibilità deve essere un valore aggiunto per le aziende e non un modo per ridurre i diritti. Solo pagando maggiori contributi si possono costruire sistemi di ammortizzatori sociali anche per questi lavoratori. Ma non è facile scalfire un sistema che ha fatto diventare la flessibilità solo una possibilità di abbattere i costi per le aziende.
Per questo diciamo alla Cgil e alla Uil: mobilitiamoci insieme contro la vera precarietà. Abbiamo lanciato in questi giorni un hashtag su Twitter: #bastaomertasuveriprecari. Invito tutti i giovani a rilanciarlo e a farlo proprio. La nostra può sembrare una provocazione ma non lo è. Ogni giorno, politici e opinionisti, di destra e di sinistra, si riempiono la bocca sul tema della precarietà del lavoro senza mai fare distinzione tra la flessibilità buona e quella cattiva. Gli stessi mass media, tranne poche eccezioni, non vogliono mettere il dito nella piaga, coprendo, di fatto, questa anomalia tutta italiana. Che cosa propone la Cisl? Due cose semplici: obbligare con un decreto tutti i committenti a pagare gli stessi contributi previdenziali dei lavoratori dipendenti a chi opera con la partita Iva. In secondo luogo, costringere per legge i datori di lavoro a erogare, a parità di prestazioni, lo stesso salario minimo di un lavoratore assunto regolarmente. Questo è il contratto “unico” che servirebbe ai precari, l’unica strada per far emergere i “paria” del lavoro. Facciamo insieme questa battaglia per il futuro dei nostri figli e del nostro paese.