E’ passato ormai un anno e più dalla tanto discussa sentenza della Corte di Giustizia UE sul caso Google Spain (causa C-131/12).
In breve la vicenda.
La vicenda che ha occasionato la pronuncia in via pregiudiziale della Corte è quella del sig. Gonzalez, cittadino spagnolo che ha chiesto di poter deindicizzare la notizia apparsa 16 anni prima su La Vanguardia, relativa ad un annuncio volto alla vendita all’asta della sua casa per debiti previdenziali. A suo dire, infatti, tale episodio del passato, del tutto scollegato dal contesto attuale, minava la sua web reputation, alterando la propria identità ed immagine. In tale contesto la Corte ha accolto la domanda del ricorrente ed ha così declinato un “nuovo” aspetto del diritto alla riservatezza di cui alla Direttiva 95/46/C (art. 12 e 14) in materia di tutela di Privacy. In parole semplici: se una pubblicazione è lecita, avvenuta cioè nel rispetto delle norme sul trattamento dei dati (con il consenso dell’interessato, ovvero con le prerogative giornalistiche del diritto di cronaca, ecc…), anche se è aggiornata, può comunque esser cancellata se, essendo trascorso un notevole lasso di tempo, risulti obsoleta.
I risvolti pratici della sentenza.
All’indomani della sentenza il Garante della Privacy è stato investito, dunque, da numerose richieste di cancellazione di pagine web e da richieste di loro deindicizzazione.
I gestori dei quotidiani on line, in particolare, sono stati investiti con richieste di eliminazione dei contenuti delle notizie di cronaca (legittimamente pubblicate ab origine) perché ormai non più di attualità, ed i motori di ricerca sono stati presi di mira, invece, perché colpevoli di riportare a galla (e a volte sin troppo a galla) verità passate e scomode.
Esiste o no il diritto all’oblio?
Ad oggi – e la sentenza Google Spain non cambia questa realtà – non è stato codificato, né in ambito nazionale né comunitario, alcun diritto all’oblio, pur non essendone mancati i tentativi, poi però naufragati. Secondo il contesto normativo attuale, pertanto, i dati lecitamente trattati, per finalità e scopi legittimi, non si cancellano ma si aggiornano.
La Corte Europea, infatti, non ha individuato un diritto generalizzato alla cancellazione di dati, pur avendone, in concreto ammessa la possibilità. Il giudice (o il Garante) o comunque l’interprete dovrà effettuare un bilanciamento degli interessi in gioco ed apprezzare quale meriti una maggior tutela.
Per capire se si ha “diritto” alla cancellazione dal web di un contenuto che, pur legittimamente pubblicato, è da ritenersi obsoleto, occorrerà effettuare alcune valutazioni.
Differenze fra l’archivio web di un quotidiano e i risultati dei motori di ricerca.
In primo luogo occorre tener ben distinta la tematica della permanenza della notizia sul sito del giornale e nel relativo archivio, da quella – del tutto indipendente ed autonoma – relativa alla permanenza del link alla notizia medesima, nell’elenco dei risultati del motore di ricerca.
Orbene, la Corte di Giustizia, si è occupata di quest’ultima tematica. Nella nota sentenza, infatti, si chiarisce come le finalità, i limiti ed i presupposti del diverso trattamento dei dati siano totalmente diversi (così come, del resto, anche la capacità di incidere o ledere la riservatezza dei soggetti interessati). Il contemperamento degli interessi contrapposti dunque, risentirà inevitabilmente delle distinte finalità economiche del motore di ricerca, che non è quotidiano on line.
La portata interpretativa degli artt. 12 e 14 della Direttiva 95/46/C fatta dalla Corte UE, infatti, riguarda esclusivamente (ed espressamente) il contemperamento degli interessi propri del trattamento dati da parte del motore di ricerca, che ha sul piatto della bilancia da un lato interessi economici di Google e dall’altro notevoli potenzialità lesive per il cittadino.
Contrariamente, infatti, alle finalità che rendono ex lege lecite le pubblicazioni dei quotidiani on line – così come il loro passaggio e permanenza in archivio – di notizie di cronaca giudiziaria, Google opera con altre logiche. La propria missione economica si realizza attraverso la messa in relazione di zone del web, formulando risultati alle ricerche dei natanti, selezionandoli con il meccanismo dell’indicizzazione. Con la conseguenza che, dall’elenco siffatto, così come anche dalla posizione in cui i vari risultati appaiono, si trarrà un’idea piuttosto che un’altra del soggetto/oggetto della ricerca.
Dall’elenco dei risultati si creerà in automatico un profilo dello stesso, con connotazioni positive,
negative, neutre, ma comunque connotazioni “scelte” dal motore di ricerca e posizionate dal medesimo secondo un ordine ben preciso. Il profilo – l’insieme dei risultati selezionati -, allora, costituirà, esso stesso, un unicum suscettibile di autonoma valutazione rispetto ai singoli risultati che lo compongono. Il profilo potrà o meno rappresentare il soggetto, e, se conterrà link lontani nel tempo, o li conterrà in posizione troppo dominante, potrà distorcere l’identità reale o violare il suo diritto ad una corretta rappresentazione del sé ecc… Tutto ciò a prescindere dalle singole pagine web (e dalla loro legittima permanenza in Internet) cui Google rinvia.
Il profilo distorto, se del caso, potrà essere “corretto” mediante la cancellazione dall’elenco dei risultati di quei link a pagine non più rappresentative dell’attuale identità e ciò a prescindere dalla legittimità delle pagine richiamate, che va valutata in piena autonomia rispetto alle logiche dell’indicizzazione e in base al bilanciamento degli interessi propri di quel preciso trattamento.
Molto diverso è invece il bilanciamento degli interessi in gioco di fronte alla richiesta di cancellazione delle notizie di cronaca (vere e legittimamente pubblicate) dal web e dagli archivi storici dei giornali on line.
Nei suoi deliberata, la Corte si premura di chiarire come l’interpretazione pregiudiziale resa, si limiti a prevedere un diritto alla cancellazione solo in quei casi in cui non vi siano ulteriori interessi in gioco prevalenti quali la rilevanza pubblica della notizia ed il conseguente interesse della cittadinanza a conoscere tramite motore di ricerca quella data informazione (cif. Sentenza Google Spain, ultimo capoverso).
Qual è il lasso di tempo per poter ritenere obsoleto – e da cancellare – un contenuto sul web?
Nella sentenza la Corte di Giustizia, pur non fissando un rigido criterio temporale valido a priori per poter ritenere una pubblicazione “obsoleta” e “da dimenticare” (rectius, il rinvio ad una pubblicazione), ne traccia, di fatto ed in concreto, gli estremi.
La vicenda che ha occasionato la pronuncia in via pregiudiziale riguardava fatti di 16 anni prima. La vicenda, oltre che assai risalente nel tempo risultava poi del tutto scollegata dal presente, non solo per il 16 anni trascorsi (che in sé per sé sono tanti), ma rappresentava un “brandello morto” del passato con nessun riverbero nel presente. In altre parole, nel caso preso in considerazione dalla Corte, vi era una cesura drastica e netta passato-presente.
La giurisprudenza del Garante della Privacy e dei Tribunali.
Orbene, le numerose richieste di cancellazione pervenute al Garante della Privacy e nei tribunali, fondate su una falsa lettura della sentenza Google Spain, invece, riguardano spesso e volentieri pagine di cronaca, spesso giudiziaria, di pochi – a volte pochissimi – anni precedenti.
La giurisprudenza, sino ad oggi, comunitaria e nazionale, conscia della delicatezza della questione, si è mossa con estrema cautela nel difficile esercizio di bilanciamento fra interessi contrapposti che sottende la materia, salvaguardando il diritto di cronaca ed il diritto a conoscere gli accadimenti da parte del cittadino e rigettando ogni richiesta di epurazione.
D’altro canto ha garantito e fatto salvo il diritto alla verità e ad ottenere l’aggiornamento delle notizie a tutela degli interessati.
A tal proposito si riportano gli estremi delle pronuncie più significative: Tribunale di Bari sentenza del 27 settembre 2008; sentenza della Corte di Cassazione n. 5525/2012; Provvedimento del nostro Garante per la Protezione dei dati personali n. 542 del 20 novembre 2014.
In conclusione.
Ad oggi non esiste un generalizzato e codificato diritto all’oblio come esplicazione dei diritti di cui alle normative europee ed italiane in materia di Privacy.
Esiste, in presenza di contenuti appartenenti al passato, sia perché molto remoti, sia perché non più aventi alcun riflesso o alcun nesso funzionale col presente (neppure di tipo meramente archivistico o storico documentaristico), la possibilità di chiedere la rimozione del link contenuto nell’elenco dei risultati del motore di ricerca.
Non esiste, al momento, un indirizzo giurisprudenziale o amministrativo, volto a rimuovere le notizie – se vere e legittimamente pubblicate ab origine – contenute negli archivi on line dei giornali che, pur avendo il dovere di aggiornare i dati a richiesta degli interessati, hanno pieno diritto alla conservazione delle stesse e alla loro archiviazione anche a fini storici e documentaristici.
Di ciò ne possiamo solo andar fieri: cedendo ad improprie richieste censorie, si arriverebbe al paradosso di epurare Internet della proprie storie “scomode”, e voltandosi in futuro, troveremmo un web che racconta il passato in modo fittizio, posticcio, ad intermittenza, a buchi, ritoccato, rileccato. La nostra storia, più o meno recente, apparirebbe come una vetrina, con le sole cose gradite agli interessati. Ci auguriamo che così non accada, perché segnerebbe la morte di Internet e minerebbe alla base la nostra memoria collettiva.
Ed è forse per questo che sono falliti sino a oggi i tentativi di introdurre per legge un diritto all’oblio, che rischia di travolgere e stravolgere, in primis, la credibilità dell’intero World wide web.
Claudia Moretti, legale Aduc