Internet è uno strumento senza precedenti di elaborazione e trasmissione di informazioni, conoscenze e approfondimento. Ma è anche uno strumento straordinario di diffusione di ignoranza e pregiudizi. Contrariamente alla piazza pubblica, dove difficilmente ci si può isolare del tutto dalla contaminazione di opinioni diverse dalle proprie, la piazza virtuale ci consente di isolarci acriticamente, selezionando a monte le fonti di informazione e le persone con cui condividerle.
Sono ormai molti gli studi che mettono in evidenza questo paradosso: oggi come mai prima abbiamo la possibilità di connetterci ad un’infinita pluralità di conoscenze, ma la stragande maggioranza utilizza questo strumento per rinchiudersi nelle proprie (in)sicurezze. In altre parole, leggiamo e amplifichiamo solo quelle informazioni che gradiamo, abitiamo solo quelle comunità virtuali a noi affini. Ecco che grazie ad Internet il lavoro di decine di migliaia di scienziati può essere "confutato" da centinaia di migliaia di "like" apposti ai deliri di un santone o di un blogger. Diritti umani fondamentali come la presunzione di innocenza e il giusto processo sono travolti da gogna e sentenze via mouse basate sul pregiudizio e sulla disinformazione raccolta attraverso la propria comunità omogenea.
Questo utilizzo infantile e settario di Internet è probabilmente alla radice della crisi delle democrazie occidentali, ispirate invece da principi liberali ovvero regole costituzionalizzate che mirano a proteggere proprio il pluralismo, la diversità, la complessità, la conoscenza, e quindi l’individuo in ogni sua manifestazione interiore ed esteriore (razza, sesso, opinione politica, religione, ecc.). La sola nozione di un movimento politico che si autoproclama come unico portavoce dei cittadini, con l’obiettivo dichiarato di eliminare ogni altra forza politica dal Parlamento o di espellere individui non "conformi" dai confini nazionali (virtuali o fisici), dovrebbe apparire aberrante ed estraneo in una democrazia liberale.
Eppure, non è altro che la naturale manifestazione politica del modo in cui i suoi sostenitori utilizzano Internet, per isolarsi tra consimili piuttosto che per confrontarsi e crescere. Non è un caso che queste forze illiberali e antidemocratiche siano spesso legatissime ad Internet, da cui nascono, crescono e traggono forza. Esse infatti si basano su una propria comunità virtuale omogenea, dove ogni opinione difforme è vilificata e espunta, dove il "dibattito" tra ortodossi e ultraortodossi ha l’unica funzione di rafforzare il pensiero unico, dove bufale e post-verità sono strumenti legittimi ed efficaci di lotta.
A sua volta, quel pensiero unico non è capace di alcuna progettualità, concentrandosi unicamente su lotte "contro" piuttosto che "per" qualcosa. La rabbia e l’odio sono catalizzatori fenomenali, immediati, impermeabili a scienza e conoscenza, perché si nutrono di cultura del sospetto e sfiducia nel prossimo. Al contrario, lottare "per" qualcosa implica studiare i fenomeni nella loro realtà e scegliere tra soluzioni complesse e mai perfette, un processo che porterebbe alla disgregazione di una comunità unita più che altro dal disprezzo per l’altro.
Come se ne esce? Di certo, non emanando leggi che vietano la circolazione di bufale, post verità o opinioni intolleranti. Sarebbe un controsenso insanabile e pericoloso “difendere” la democrazia attraverso una limitazione per legge della libertà di espressione.
Ognuno di noi è chiamato però a fare uno sforzo di responsabilità individuale, che poi è l’essenza di una democrazia matura, composta da cittadini adulti piuttosto che da sudditi deresponsabilizzati: approfondire, studiare, confrontarsi con idee e comunità diverse, ascoltare, riflettere, rispettare ogni essere umano, coltivare il dubbio sulle proprie certezze. Per dirla con Einaudi, “conoscere per deliberare”, il che è possibile solo nell’ambito di una democrazia liberale, l’unica in grado fino ad oggi di protegge e valorizzare il pluralismo e la libertà individuale. E’ uno sforzo che ognuno di noi deve fare costantemente, ogni giorno. E grazie ad Internet, se utilizzata per conoscere piuttosto che per odiare, non è mai stato così facile.
Pietro Moretti, vicepresidente Aduc