La vicenda del gruppo de Il Sole24Ore è di una tristezza tragica e deprimente. Tragica perchè mette in evidenza il nostro sistema economico privato per quello che è nella sua realtà, una burletta. Deprimente perchè ci conferma -e ne abbiamo sempre bisogno, visto che la speranza è l’ultima a morire- che il nostro sistema capitalistico è quanto di più precario, familistico (nel senso mafioso del termine) possa essere; non è che in Europa e nel mondo siano tutte “rose e fiori”, anzi. Solo che questa vicenda ascrive anche le forme apparentemente più moderne e dotte del capitalismo italiano alle bande di malaffare -piccole e grandi- che sono tipiche di chi considera il profitto fine a se stesso e non armonia di un modello di organizzazione sociale ed economica. Vediamo cose è accaduto. Il quotidiano del gruppo vantava 109.500 abbonati online. Un successo, se si pensa che altri quotidiani online di notevole caratura erano completamente stracciati a confronto (Corsera 6.000, mentre La Repubblica 2.300). A qualcuno (il giornalista Nicola Borzi) questo non è tornato e si è messo a indagare e ha scoperto che una società britannica -Di Source- acquistava a man bassa abbonamenti online. Questa società aveva alla testa un prestanome, Martin William Gordon Palmer, che amministrava anche una società -Fleet Street News- al 100% della Di Source e dove compariva un italiano, Filippo Beltramini. Entrambe le società avevamo un legame con l’amministrazione de il Sole. Il tutto era chiaro: gonfiando la diffusione, cresceva il costo della pubblicità, e inoltre le parti variabili degli stipendi dei quadri dirigenti erano direttamente indicizzati sulla diffusione. I primi dati parlano di 3 milioni di buco. Affare devastante per il gruppo che per due terzi è proprietà di Confindustria, il sindacato padronale italiano per eccellenza, gruppo che conta, oltre al quotidiano, anche una radio (Radio24) e un’agenzia stampa (Radiocor). Tra le persone coinvolte, l’ex-presidente del gruppo Benito Benedini (attuale presidente della Fondazione Fiera di Milano, 260 milioni di ricavi annui), l’ex-direttore dell’Area Digital del gruppo 24Ore Stefano Quintarelli (attuale deputato di Scelta Civica), Donatella Treu (ex ad), Roberto Napoletano (ex-direttore responsabile del quotidiano). Devastazione che appare ancor più acuta se si pensa che il gruppo e’ alla vigilia di una ricapitalizzazione di 300 milioni, dovuta alle perdite dal 2010. Nei primi nove mesi del 2016 il gruppo ha perso 61,6 milioni. Numeri da capogiro se confrontati al nostro quotidiano di “normali” umani che lavoriamo anche dieci ore al giorno per un paio di migliaia di euro al mese (quando ci va bene) e che, magari, leggiamo anche il Sole24Ore e ascoltiamo Radio24. Ma sono i numeri delle grandi cose, incluse quelle che fanno patatrack e che sono gestite peggio del panificio sotto casa nostra. E’ importante questo confronto, perchè è quello che ci dà la dimensione della vicenda e il modus della stessa. Un giornale e un radio che leggiamo e ascoltiamo e che ci informano e corroborano facendoci diventare affezionati e attenti; media che diventano amici delle nostre giornate in ufficio o in auto o mentre siamo in bagno la mattina presto…. Sono finti! Patatrack! Cioè per poterci dare una informazione e un intrattenimento devono rubare, imbrogliare. Ci sentiamo a disagio. E’ il capitalismo italiano? Anche, ma non solo, perchè forme di delinquenza gestionale non sono una novità in molte delle maggiori industrie capitalistiche del mondo, anche nel bengodi capitalistico degli Usa. E non a caso citiamo questo Paese, perchè lì quando accadono cose del genere, i responsabili vanno a casa, le aziende magari chiudono e gli onesti di buona volontà che erano comunque in quella impresa, si rimettono sul mercato per prestare la propria opera. Cosa accadrà in Italia? Ancora è presto, ma aziende che non chiudono mai anche se fanno patatrack, con gli specifici responsabili che restano in sella o continuano imperterriti altrove, non rappresenterebbero una novità (si guardi, a esempio, le nostre banche malsane e i vari dirigenti). Ma cosa c’è che allora non torna e perchè siamo qui a dubitare che gli onesti continuino e i disonesti spariscano e siano sanzionati? E’ il dubbio che ci nasce da una semplice constatazione/domanda: è, quello italiano, un capitalismo libero, di mercato e senza stampelle con l’amministrazione, che non per il fatto che anche i capitalisti dovrebbero pagare le tasse come il pensionato o il dipendente o il lavoratore autonomo? A noi questa libertà e questo mercato appaiono deficitari (normativamente e culturalmente), e il dubbio di “tarallucci e vino” ci martella in testa. Intanto ci teniamo questa figura di merda che stiamo facendo in tutto il mondo, coi maneggioni che operavano per avere più soldi per comprarsi auto migliori, fare viaggi più belli e avere case da rivista, alla faccia di quelli che con l’”eurino quotidiano” li alimentavano, così come sintonizzandosi sulle onde della loro radio.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc