E’ in vigore un decreto del Governo sul credito d’imposta per gli investimenti pubblicitari. Riguarda solo la stampa quotidiana e periodica (ma non radio e tv), anche online, e si applica sulle spese pubblicitarie in più pagate quest’anno rispetto all’anno scorso. Ampia soddisfazione e toni altisonanti di apprezzamento -ovviamente- da parte della federazione degli editori (Fieg) e dei pubblicitari (Upa). La somma destinata alla bisogna è di 20 milioni di euro. Noi siamo tra coloro che credono che un Paese libero si possa misurare tale rispetto alla libertà dei propri media; dove per libertà si intende quella rispetto alle proprie istituzioni. Certamente siamo messi meglio di altri Paesi come Cina o Arabia Saudita, ma siamo al pari, per esempio, di Bolivia, Afghanistan e Mongolia, e distaccati dal resto di buona parte della Ue/Europa e Nordamerica.
Questo dei contributi all’editoria non e’ un segreto. E’ notorio che nel nostro Paese funziona così. Per cui i 20 milioni di oggi sono solo un ulteriore e razionalizzatore intervento del governo. Che ci serve per meglio comprendere perche’ il nostro sia un Paese che…. continua ad avere problemi. Venti milioni di qui, venti milioni di là, ed ecco che la spesa pubblica cresce. Ci dicono, nella fattispecie e non solo, che sono investimenti per incentivare produzione, consumi e lavoro (e poi -vuoi mettere- il fine nobile dell’informazione….). Ma c’e’ qualcosa che non ci torna. Che e’ il fatto di incentivare prodotti che i consumatori non sembrano amare, visto che l’editoria che ne beneficia e’ proprio quella sempre piu’ in calo (quotidiani e giornali). Ma, evidentemente, i nostri governanti ragionano con “beh, proprio perche’ in crisi, va aiutata”… e allora -ci chiediamo- perche’ non si faccia altrettanto con altri settori in altrettanta e più grave crisi e che, al pari dei giornali, trattano prodotti desueti e non graditi dal mercato? Forse perche’, per chi ci governa, e’ piu’ gratificante vedere che viene concesso loro dello spazio sui media (anche se letti sempre meno), che non incentivare, per esempio, la produzione di cassette audio (il paragone -per desuetudine- non e’ casuale)? Non solo. Ma siccome siamo in ambito informazione, non è che questi sconti possono essere utilizzati per una qualche fidelizzazione? Quest’ultimo e’ un dubbio eterno e continuo a cui -per quanto è nel nostro essere civici- può essere levato solo con un metodo: nessun finanziamento pubblico, in nessuna forma. Cosi’ come avviene, non a caso, nei Paesi che nel mondo sono un riferimento per la libertà di stampa (Usa in testa). Crediamo che questo, insieme a tanti altri, sia uno dei grandi problemi del nostro sistema, o regime che dir si voglia.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc