Giornalismo d’inchiesta, per la Cassazione non c’è diffamazione se rispetta i doveri deontologici di lealtà e buona fede

In un’ordinanza del maggio 2024, gli Ermellini ribadisco che l’utilità della diffusione della notizia per la collettività e la correttezza del lavoro dei giornalista, che comunque deve sempre impiegare la «maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità», consentono di rendere noto un dato veritiero, sia pure incompleto, senza con questo ledere l’onore e la reputazione di una persona.

In tema di diffamazione a mezzo stampa, il giornalismo d’inchiesta «ricorre quando il giornalista non si limiti alla divulgazione della notizia, come nel giornalismo ordinario di informazione, ma provveda egli stesso alla raccolta autonoma e diretta della notizia, tratta da fonti riservate e non, anche documentali e ufficiali, con un lavoro personale di organizzazione, collegamento e valutazione critica, al fine di informare i cittadini su tematiche di interesse pubblico».

Quest’ultimo, l’interesse pubblico generale, «deve essere valutato considerando che il ruolo civile e utile alla vita democratica di una collettività, svolto attraverso la divulgazione delle notizia, implica la necessità di valutarne l’attualità con riferimento al momento in cui la conoscenza dei fatti è sorta e al contesto sociale in cui è proposta con la pubblicazione, e non con riferimento al momento in cui si sono svolti i fatti che la integrano».

E ancora, l’interesse pubblico «implica altresì la necessità di valutarne gli esiti, non tanto alla luce dell’attendibilità e della veridicità della notizia, quanto piuttosto dell’avvenuto rispetto da parte del suo autore dei doveri deontologici di lealtà e buona fede, oltre che della maggiore accuratezza possibile nella ricerca delle fonti e della loro attendibilità, ai fini del bilanciamento del diritto al rispetto della vita privata e del diritto alla libertà di espressione».

Questi sono i principi – ribaditi nella recente sentenza della prima sezione Civile della corte di Cassazione pubblicata il 10 maggio 2024 – cui saranno chiamati ad attenersi i giudici di appello nel riesaminare una vicenda di lamentata diffamazione risalente al 2018.

Un professionista il cui nome era comparso in un’inchiesta giornalistica legata ai Paradise Papers aveva portato in tribunale gli autori dell’articolo lamentando che nel testo non veniva specificato che il fatto (vero) risaliva però a diversi anni prima della pubblicazione.

Dopo la condanna in primo e secondo grado, la corte di legittimità ha riconosciuto e ribadito le peculiarità e l’utilità sociale del giornalismo d’inchiesta, rinviando la causa in appello e indicando i principi, ben consolidati dalla giurisprudenza in materia, alla luce dei quali effettuare il corretto bilanciamento tra due valori costituzionalmente garantiti quali il diritto della collettività ad essere informata e il diritto del singolo al rispetto della propria onorabilità e della propria reputazione.

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