Rai, incontro in Fnsi sul ‘caso Bianchi’ e sul precariato nelle Reti

Il 16 aprile 2024 si è tenuta nella sede della Fnsi una riunione sui temi ‘testata in rete’ e ‘precari in rete’ tenuta dal giornalista Stefano Maria Bianchi e dall’avvocato Vincenzo Iacovino, alla presenza del Cdr Approfondimento Rai e aperta a tutti i giornalisti di Rete. Hanno partecipato circa sessanta colleghi. Tra gli ospiti in sala anche l’ex direttore e conduttore Michele Santoro. Al centro dell’incontro la vicenda giudiziaria che ha avuto come protagonista Bianchi e la sentenza con la quale, come ha evidenziato l’avvocato Iacovino, il giornalista «è stato riconosciuto come inviato perché la Cassazione ha detto una cosa importantissima: trascuro i contratti, verifico quello che tu fai nei fatti. Hai fatto l’inviato? Te lo riconosco».

«Fare questa conferenza qui – ha esordito Bianchi – non è di poco conto. La nostra categoria è sotto assedio della politica e quindi trovare un luogo in cui si professa la libertà di parola e di riflessione sulla nostra professione è un’occasione importante. Sono passati trent’anni da quando abbiamo iniziato questa battaglia con altri colleghi per vedere riconosciuto in azienda, nelle reti, il contratto nazionale di lavoro che proprio in queste stanze viene definito e, dunque, è questo il luogo deputato».

Il giornalista ha poi rimarcato che la sentenza «si rivolge ad una generazione di colleghi che svolgono lavoro di giornalisti in trasmissioni almeno dal 1996. Molti di noi – ha evidenziato – sono passati attraverso contratti da programmista regista, contratti di collaborazione, di sostituzione, da lavoratore autonomo. Noi abbiamo fin dall’inizio alzato l’asticella al punto da chiedere all’azienda di riconoscere tutto. E il giudice di Cassazione è arrivato a dire che il modo in cui venivano concepiti i nostri contratti, nelle varie fattispecie che abbiamo visto, era un modo di dissimulare un rapporto di lavoro subordinato e continuato. Vorrei che questa sentenza fosse portata in dote agli altri colleghi che non hanno fatto il mio percorso. L’accordo del giusto contratto è un accordo che ha sanato posizioni di altri colleghi, e lo ha fatto come meglio poteva nell’azione sindacale. Però è altrettanto vero che le sentenze hanno detto qualcosa di molto più incisivo e importante sul piano della difesa dei diritti, ovvero che il giornalismo in rete esisteva dal almeno dal 1996».

L’incontro è stato anche l’occasione per presentare una raccolta di firme con la quale «chiediamo che il giornalismo, indipendentemente da dove si faccia, non si può fare in assenza di un direttore. Noi abbiamo bisogno di un referente che è un referente di natura professionale, ma è anche un referente tecnico giuridico», ha spiegato Bianchi.

Il secondo aspetto che discende dalla sentenza «e che noi richiediamo – ha proseguito il giornalista – è di risolvere il problema dei precari. Noi non possiamo permetterci che un’azienda di Servizio pubblico abbia una componente così forte di precarietà. Al tempo noi precari in Rai eravamo molti di meno rispetto a oggi, con la differenza che noi al tempo eravamo completamente fuori dai radar del sindacato ed eravamo costretti a difenderci con le unghie e con i denti, con gli ascolti e con la qualità della nostra professione. Adesso questa difesa diventa più debole perché gli ascolti sono quello che sono. Ma soprattutto, adesso ci sono i radar accesi su queste persone, se non altro i radar del sindacato nazionale che deve occuparsi della questione dei precari».

Per Bianchi «questa è un’occasione di rilancio dell’attività sindacale. Ci è data questa possibilità, non la sprechiamo. Lo dico a voi del Cdr lo dico ai precari, lo dico a quelli di vecchio conio come me che da vent’anni combattono con le cause. E lo dico perché i colleghi possano acquisire coraggio a partire da questa sentenza e a partire dalle riflessioni che da questa sentenza deriveranno. Come giornalisti di approfondimento chiederemo l’apertura di tavoli sindacali per discutere varie partite. Una è fondamentale: è questa petizione per ottenere la testata giornalistica in rete». L’appello finale è a «fare battaglie sindacali dentro l’azienda, a partire da questa sentenza, a partire dalle sentenze che verranno, perché ce ne saranno altre, perché questa è solo una diga che si è rotta».

Michele Santoro è intervenuto per ribadire che il precariato in Rai non è un fenomeno nuovo. «L’azienda – ha detto – era ben consapevole del fatto che faceva dei contratti che non corrispondevano assolutamente alle funzioni che svolgevano i nostri colleghi. E io in più occasioni avevo rimarcato il fatto che i contratti perlomeno corrispondessero all’attività giornalistica. Su questo ho condotto una lunga battaglia e devo dire che i miei colleghi non hanno molto assecondato questa battaglia».

Per Santoro, «nell’approfondimento c’è sempre stata una maggiore libertà, qualunque fosse la redazione nella quale si esercitava questa professione. Comunque si esercitava una condizione maggiore libertà. Il genere di approfondimento era il genere nel quale la Rai non aveva rivali. Questo genere è stato completamente smantellato. Cioè diciamo che la precarizzazione è stata funzionale anche al fatto di far perdere al servizio pubblico un genere nel quale era assolutamente leader».

Il declino dell’approfondimento «non è una cosa superficiale, e uno dovrebbe avere il coraggio di metterlo al centro del tavolo, il coraggio di riaccendere questa tradizione. Forse è il momento per riuscire a saldare un fronte, un’alleanza che fino a oggi non c’è mai stata. Ecco, quindi non aspettiamo, potrebbe essere una buona occasione. Cercate di non perderla», ha concluso Santoro.

Infine l’avvocato Iacovino ha rimarcato che «questa sentenza mette in crisi totalmente il sistema di precarizzazione nel sistema del servizio pubblico radiotelevisivo. Non è un’azienda qualsiasi. È un’azienda pubblica che ha posto in essere dei contratti simulati, dissimulando contratti diversi». La Cassazione «ha detto anche che non c’è la prescrizione. Questo – ha proseguito il legale – per incoraggiare tutti coloro che invece vengono terrorizzati dal fatto che il diritto sarebbe caduto in prescrizione. Non è vero. La Cassazione dice che il diritto non si prescrive nel momento in cui è in corso un rapporto di precarizzazione. Proprio perché il lavoratore in quel momento in senso lato è sottoposto a un ricatto, non può rivendicare perché rischia».

Nel caso di Stefano Bianchi, «abbiamo dimostrato che la transazione non aveva e non poteva avere come oggetto il rapporto che era in corso di accertamento, cioè il rapporto di fatto, ma semplicemente il contratto formalmente in essere e non avendo la transazione minimamente inciso sul rapporto di fatto, la Cassazione ha detto che questa transazione non potrà giammai costituire il presupposto per la negazione di un diritto e per l’accertamento del diritto oggetto di causa. Ed ecco il grande principio di civiltà: tutte quelle gabbie procedurali transattive che hanno costruito attorno ai lavoratori per farli tacere sono state cancellate».

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