Nonostante la sua voglia di nuovo, il basket siciliano che naviga tra la DNC e la C regionale continua a sottovalutare incredibilmente l’aspetto tecnico. E’ curioso come la parte più importante di una squadra, quella da cui ci si aspetta la produttività più grande, sia ancora gestita come se fosse un piccolo orticello. Si fa un gran parlare di sistema di gioco, valorizzazione dei giovani, ragazzi futuribili, ma niente è stato fatto per migliorarne la qualità, per diminuire le possibilità di affidare settori giovanili a istruttori modesti se non scarsi: i risultati dei campionati giovanili dimostrano che una cosa è il fumo propagandistico e un’altra sono i fatti. Nel caso in questione gli atleti formati, ovvero quei giovani pronti a scendere in campo per misurarsi anche in categorie superiori. Eppure lo staff tecnico di una società dovrebbe essere il reparto migliore. I veri manager moderni in un’azienda che produce basket non possono che essere i tecnici. Uno di loro, il capo, deciderà i metodi d’allenamento e le scelte della gara, ma gli altri dovrebbero essere quelli che sotto le sue direttive impostano il futuro, cercano nuovi atleti, causano il minimo rischio negli investimenti, danno scienza e regole al settore giovanile. In teoria questo accade anche adesso, ma in modo molto arbitrario, spesso quasi sotto ricatto dei dirigenti – genitori. Nel basket dei raccomandati e dei furbetti del resto raramente si sceglie di lavorare con i migliori. Si preferisce puntare su un simpatico buonista con alle spalle una storia talmente inesistente da farlo lavorare sotto tutela dei genitori, padroni del suo destino sportivo: se i figli non giocano, lui perde il posto e la paghetta mensile. Il risultato è che otto decisioni su dieci nell’ambito di tutta l’attività sportiva, vengono prese da persone non qualificate con il merito che va a farsi benedire. E’ chiaro che cercare di far crescere i ragazzi in luoghi senza cultura sportiva complica ogni iniziativa. Sono ancora i dirigenti – genitori che vanno a scegliere i nuovi istruttori da formare o quei ragazzi che possono restare in squadra a patto che non pregiudichino il minutaggio dei loro figli. L’anomalia del basket messinese, ma anche dello sport cittadino in genere, del resto è proprio questa. Che è gestito da dirigenti – genitori senza tecnica specifica o da vecchi tromboni vanitosi che con la crescita dei settori giovanili c’azzeccano poco, a cui però viene permesso – per fortuna non da tutti – anche di entrare in problemi tecnici. Certo che sarebbe tutto più semplice se le regole venissero rispettate da tutti e che per andare avanti nello sport come nella vita, si guardassero prima di tutto i risultati ottenuti, i giocatori prodotti e la storia personale e non se il coach sia morbido o granitico nelle scelte. Invece così non è. Basta guardare il gioco prodotto e i campionati giovanili. Oggi si continua a far combaciare la sicurezza di un tecnico con la sua abilità a ingoiare rospi e raccomandati. Non crediamo che per far resuscitare il basket messinese ci siano grandi problemi pratici, basta fare le cose con decenza e affidarsi a persone che applicano le regole: prima di tutto il merito! E’ più un problema culturale. A Messina non siamo abituati a farlo e ci sembra quindi difficile poterlo applicare al basket. Il ragionamento, lo sappiamo, seppur semplice è ostico: volevamo solo cominciare a rompere un tabù, affinché lo sport non diventi, come la politica, un luogo di rifiuti. Urbani!