di Roberto Gugliotta
Arriva il bancomat dal volto umano: parla, gioca a basket e fa anche gli auguri di buon compleanno tra una partita e l’altra. Battute a parte, chissà se è peggio il fregare il prossimo con progetti farlocchi o far pagare la retta d’allenamento a dei ragazzi più che maggiorenni, per essere convocati durante il campionato giovanile, con la consapevolezza che non avranno nessun futuro nel mondo della pallacanestro. Chissà se è peggio calunniare chi è più bravo o più corretto per poter giustificare il proprio business fortunoso ma inutile contro i risultati ottenuti con il sudore del proprio lavoro in palestra senza che alle famiglie costi nulla. Perché di questo si tratta: far pagare dei giovani rette onerose per essere convocati nelle gare senza che questi atleti siano proprietari di nulla. Ragazzi di 15, 16, 18 anni che non solo aiutano le società a tenere banco nei campionati ma che grazie alle loro tasse permettono a dei furbi d-istruttori di campare alle loro spalle. Che sport educativo è quello che si sostiene sui sacrifici dei genitori degli atleti? E allora invece del basket sarebbe il caso che questi ragazzi giocassero a tennis o andassero a sciare, almeno, mantenere un maestro che li aiuti a vincere avrebbe un senso, una ragione. Qui nel mondo della pallacanestro messinese si paga per non saper far niente. Si sborsano gli euro per garantire la pagnotta al d-istruttore di turno. Anche perché, cari genitori dei bancomat dal volto umano, una volta usciti da questi pollai d’allevamento, in mano non avete nulla: né il cartellino che resta di proprietà di quelli che avete sfamato per tanti anni, né la tecnica che dovrebbe aiutare i vostri pargoli a farsi largo nel basket che conta. Chissà se è peggio non arrivare neanche a essere protagonisti in tornei amatoriali, oppure guardare gli altri, che non si sono piegati a questi giochi e per questo hanno preferito emigrare altrove, crescere e imparare a stare in campo con dignità e umiltà. Chissà se è peggio dover ringraziare l’arbitro amico per aver vinto una gara pur non meritandola oppure l’arbitro che getta fuori il coach nemico. Chissà se è peggio ricordare come si era, accorgersi di come si è diventati o immaginare come si potrà essere. Perché questa non è una crisi, questa è una farsa che nulla a che vedere con l’etica e la sportività che dovrebbe essere il faro di tutta l’attività giovanile. Buona domanda. Del resto tutto finisce, anche le cose quasi infinite: il bancomat dal volto umano.