di Roberto Gugliotta
Quello che manca a Messina in molti centri d’avviamento al basket è l’umiltà. Ci sono regole che partono da un assunto ben chiaro: giocare non è solo tirare. I ragazzini prima di tutto devono imparare a collaborare tra loro: questa è l’età in cui sono egoisti, in cui tutto “è mio”. Invece devono imparare a condividere e collaborare. Così sarà, domani, anche nella vita quotidiana. Poi devono essere in grado ad accettare le difficoltà: nello spogliatoio ci dovrebbe essere appeso il cartello “vietato dire non ce la faccio”. Incece i loro istruttori li educano a inseguire gli alibi: è colpa del campo, dell’arbitro, del compagno meno talentuoso… Questo perché manca il rispetto verso l’altro. Non a caso capitano incidenti e violenze anche nelle gare under 14 senza che i colpevoli vengano allontanati dalle società. Così passa il concetto che essere minacciosi e maleducati non è indecente. Agirare le regole sarà la logica conseguenza degli adulti di domani. Il rispetto delle norme, dell’altro, deve partire, per primo, proprio dagli allenatori e dai dirigenti che devono rispettare i ragazzini nelle loro caratteristiche, nei loro tempi e modi di apprendere. Se noi per primi impariamo a rispettarli, loro poi rispetteranno noi e gli altri sia che siano avversari che arbitri. Se c’è rispetto non ci sarà violenza in campo nè sugli spalti. Questa filosofia di vita si chiama "andare contro corrente" per distinguersi dai d-istruttori, che io chiamo "i cattivi maestri": tutti vogliono vincere e arrivare primi ma per far questo spesso usano la violenza verbale e fisica per intimorire i ragazzini e gli stessi arbitri. Non solo. Usano trucchi e tranelli per brigare e deviare l’esito finale della gara. Quando ciò accade si perde la dignità non c’è etica nè lealtà, principi fondamentali per una sana educazione sportiva ma se andremo contro corrente accadrà una cosa bellissima: avremo vinto tutti al di là del risultato sul campo.