Per qualche giorno l’Italia sembra tornata un Paese “normale”, come tanti auspicano da tanto. I titoli mediatici rilevanti, invece che su covid e dintorni, sono tutti per la Superlega del calcio, un torneo a cui dovrebbe partecipare il gotha del settore, club scelti in base a fatturato, numero tifosi e blasone. Ipotesi che ha subito fatto avanzare banche con finanziamenti miliardari da una parte, mentre dall’altra le lamentele di chi ne sarà escluso per mancanza essenzialmente di soldi.
A contorno una umanità – legata ad un tifoseria che nasce da bambini per le squadre più famose – che sembra sia vissuta finora guardando da un’altra parte. Una bella umanità, ma “distratta”: per passione e piacere, ha fatto finta di non vedere e capire che il motore del calcio è il business. Che se, per esempio, arriva un riccone dall’America e si compra una squadra più o meno famosa e più o meno in difficoltà, non lo fa per la passione dei tifosi, ma per fare soldi e, magari, anche un po’ di gloria che poi gli servirà per fare ulteriori soldi; ese per fare questi soldi deve schiacciare qualche tifoso, lo schiaccerà.
Per noi non c’è niente di male che sia così. Anche perché non potrebbe essere altrimenti per gli spettacoli che muovono milioni di persone.
Basta saperlo.
E c’è da sfatare un mito che oggi forse ritroviamo in qualche racconto e film. Se da ragazzino giochi a pallone con la maglia del tuo club preferito e sogni di diventare una star, sappi che, anche se sei bravino, ci sarà una possibilità su un miliardo di vedere il tuo sogno realizzato: la logica del merito c’è, ma soggiace a quella del business, dove si diventa ricchi se sei già ricco.
Basta saperlo.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc