Padova – Si può fare attività fisica in sicurezza con estati sempre più calde e lunghe? E quali sono gli accorgimenti per chi fa hiking in montagna, specie se anziano o malato? E, poi, chi ha una malattia cronica può fare immersioni subacquee?
Sono alcune delle domande al centro della terza giornata del X Congresso della European Initiative for Exercise in Medicine (EIEIM) che si conclude, dopo tre giorni, oggi a Padova. L’evento è organizzato da Exercise is Medicine – EIM® Italy, sotto l’egida del Dipartimento di Medicina, in collaborazione con Motore Sanità.
“Negli ultimi anni, specie con la pandemia, abbiamo assistito a un fenomeno nuovo: è esploso il numero di eventi di running. Non si tratta di competizioni di élite, ma di eventi a cui prendono parte centinaia di persone comuni. Spesso sono caratterizzate da lunghe distanze e alcune di queste sono realizzate anche in condizioni proibitive. Per citarne qualcuna, la Badwater Ultramarathon che si corre per 135km nella Death Valley; la Polar Circle Marathon, che si corre proprio oggi e domani in Groenlandia; la maratona che si corre sul passo del Khunjerab, in Pakistan, a 4.700 metri. Anche senza arrivare a questi appuntamenti estremi, il cambiamento climatico, con l’innalzamento delle temperature, sta rendendo sempre più comune confrontarsi con l’attività fisica a temperature elevate”, dice Paolo Emilio Adami, Medical Manager of the Health and Science Department of World Athletic.
Tutto ciò pone l’attenzione su un aspetto spesso sottovalutato dell’attività fisica: quello del rapporto con il clima e con la necessità di mantenere una temperatura ottimale dell’organismo.
Che fare dunque? Specie se si deve affrontare una impegno fisico con condizioni non ottimali? Per Adami è fondamentale “studiare le condizioni ambientali, imparare ad ascoltare i segnali di allarme lanciati dal proprio corpo, testare prima (per esempio durante l’allenamento) strategie di raffreddamento (o riscaldamento). Anche se non sempre è possibile farlo, sarebbe importante acclimatarsi allenandosi nel posto (o almeno nelle condizioni) della gara”. Infine, ricorda l’esperto, occorre fare attenzione ai farmaci: molti incidono sui processi biologici che regolano la temperatura: per esempio gli stimolanti o gli antidolorifici.
Tra gli argomenti della giornata, l’attività fisica in montagna, un fenomeno che sta diventando sempre più ampio coinvolgendo spesso persone anziane e affette da patologie croniche.
“È un fenomeno positivo”, dice Nicola Borassio, dell’Università Padova. “Le persone nell’ambiente naturale si sentono più coinvolte, il contatto con la natura incentiva a spendere tempo in attività fisiche. Inoltre la qualità dell’aria in montagna è decisamente migliore che in città”.
Ciononostante è necessario farlo con consapevolezza, poiché all’aumentare dell’altitudine il nostro organismo va incontro a un una serie di risposte fisiologiche che coinvolgono polmoni, cuore, sistema nervoso, specie sopra i 2.000-2.500 metri.
“Fino a questa quota, in genere non ci sono particolari difficoltà, anche per gli anziani. A questi è però consigliato un periodo di acclimatamento e di prestare attenzione all’intensità dell’attività fisica, per esempio sorvegliando la frequenza cardiaca”, dice Borasio.
Maggiore attenzione dovrebbero prestare le persone con malattie croniche che possono andare incontro a potenziali rischi, avverte Marco Vecchiato, dell’Università di Padova. Ciò, naturalmente non significa che debbano rinunciare all’attività fisica in montagna.
“Per chi soffre di malattie respiratorie come la Bpco o l’asma, occorre una certa cautela”, dice. “È bene valutare se l’altitudine è tollerata e magari monitorare la saturazione. In alcuni casi può essere raccomandato avere a disposizione l’ossigeno. Molto, però, dipende dal grado di controllo della malattie e dall’altitudine a cui ci si reca”, afferma. “Attenzione anche per chi soffre di malattie cardiovascolari: in tal caso l’alta quota può peggiorare i sintomi e in alcuni casi può essere necessario aggiustare la terapia. Un discorso a parte meritano le persone con diabete: in genere chi non è insulino-dipendente tende a trarre giovamento dall’attività in alta quota; per chi invece ha bisogno dell’insulina, aumenta il rischio di ipoglicemia e quindi può essere necessario monitorare i livelli di glucosio e, semmai, aggiustare il dosaggio dell’insulina”.
Se ai malati cronici non è preclusa l’alta quota, lo stesso vale anche per le profondità del mare. “Certo che un malato cronico può fare immersioni”, dice Gerardo Bosco, professore all’Università di Padova e presidente della Società italiana di medicina subacquea e iperbarica (SISMI).
“L’immersione, sia in apnea sia con le bombole di ossigeno – e perfino lo snorkeling – ha molti benefici: insegna a respirare, migliora la frequenza cardiaca, il metabolismo, la forma fisica complessiva”, dice l’esperto.
“L’importante è rispettare tre regole”, conclude Bosco. “Ascoltare e rispettare il proprio corpo; ascoltare e rispettare il proprio medico e ascoltare e rispettare il mare”.
La European Initiative for Exercise in Medicine (EIEIM) è partner di Exercise is Medicine (EIM), l’iniziativa sanitaria globale gestita dall’American College of Sports Medicine (ACSM) che si prefigge di rendere la valutazione e la promozione dell’attività fisica uno standard nell’assistenza sanitaria.
“Exercise is Medicine” si impegna a promuovere lo sport per il mantenimento di una salute ottimale, considerandolo parte integrante nella prevenzione e nel trattamento di molte condizioni mediche. L’evento, che si inserisce nelle celebrazioni per l’anniversario degli 800 anni dalla fondazione dell’Università di Padova, è principalmente (ma non esclusivamente) rivolta a medici professionisti dell’ambito sanitario e a chinesiologi.