Crescono gli eSports, i videogiochi a livello competitivo organizzato e professionistico. Secondo il rapporto stilato da AESVI (Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani) in collaborazione con Nielsen, in Italia ogni giorno 260.000 persone seguono eventi eSport, con il 35% che afferma che molto probabilmente assisterà ad un evento dal vivo in futuro.
Considerando anche chi segue gli eSport saltuariamente, arriviamo ad un milione di spettatori. Per quanto riguarda le categorie, gli spettatori che seguono eventi eSport sono principalmente ragazzi (62%) di età compresa tra i 16 e 30 anni (52%), e uomini tra i 31 e i 45 anni (33%).
I videogame più conosciuti come eSport (95%) sono i quelli di corse o sportivi, mentre il livello di interesse più elevato in assoluto si registra tra chi conosce gli sparatutto o FPS (83%). Tra i giochi sportivi FIFA è in cima alla classifica della partecipazione alle competizioni (62%) ed i videogiochi sportivi in generale sono i più ricorrenti negli eventi eSport, con 4 titoli su 5 per frequenza.
La notorietà delle singole leghe di giocatori professionisti va di pari passo con la popolarità dei relativi videogiochi di riferimento: la fama dei team di eSports creati dalle squadre di calcio, ad esempio, è influenzata da quella del relativo club calcistico, con i team di AS Roma (45%), Ajax (35%) e Valencia (34%) che occupano le prime posizioni della classifica.
Nel rapporto è stato fatto anche un approfondimento sui fattori di sviluppo e sulle criticità del settore in Italia: ne è emerso che tra i driver di sviluppo gli intervistati hanno identificato le sponsorizzazioni, soprattutto da brand non endemici (50%), lo sviluppo di eventi dal vivo (19%), la crescita di player italiani e successi sportivi, soprattutto all’estero (19%), la crescita del consumo mediatico tramite streaming online (13%) e la professionalizzazione dell’ecosistema degli eSports (6%).
Tra le criticità, la non adeguatezza dell’infrastruttura di rete, in particolare banda larga e fibra, (22%), la mancanza di un quadro di riferimento chiaro per il settore (22%), la mancanza di competenze specifiche (18%), lo scetticismo di sponsor e investitori (18%) e, infine, la bassa disponibilità verso investimenti a medio-lungo termine (14%).