Il basket è un gioco semplice: sono i d-istruttori a renderlo complicato. Chiunque abbia esperienza diretta di come funzionano alcune scuole di avviamento al basket (centri minibasket o settori giovanili) nella provincia di Messina una cosa la sa per certa, perché l’ha vista con i propri occhi: nella maggior parte dei posti c’è una quota di persone, collocate ai livelli gerarchici più diversi, di cui le società stesse potrebbero tranquillamente fare a meno.
Talora si tratta di “fannulloni” nelle varie declinazioni del termine (a esempio gli assenteisti in palestra), talora si tratta di incapaci (quanti istruttori non conoscono o non sanno insegnare), talora si tratta di persone che non hanno niente da fare (parassiti) semplicemente perché non c’è niente da fare (come succede negli uffici inutili o con un eccesso di personale). Gli istruttori incapaci o parassiti finiscono per tenere alle porte i non garantiti capaci e meritevoli.
E’ giusto tutto ciò?
Nessuno pare voler vedere l’altra metà del cielo: che se un centro di reclutamento allo sport (basket) non funziona – passatemi il paragone – i ragazzi e le loro famiglie ne hanno un danno, tale e quale a quello che accade se un ospedale ha dei cattivi medici ne va della salute dei cittadini, che se gli uffici pubblici sono lenti e inefficienti consumatori e imprese ne pagano il prezzo. D’accordo è solo un gioco, tanti partecipano, pochi diventeranno atleti professionisti, ma perché uccidere la speranza dei ragazzi affidandoli a dei cattivi maestri? Oggi il basket messinese sta raccogliendo i frutti amari di promesse troppo facili. Riflettiamo!