La pandemia vista dalla panchina. L’assistente ecclesiastico del CSI regala ai tecnici sportivi un decalogo pieno di opportunità per il futuro. A cura di don Alessio Albertini consigli, spunti e riflessioni tattiche e spirituali per allenare i ragazzi non appena sarà il momento di tornare in campo.
In questo tempo ancora di incertezza a causa della pandemia, l’assistente ecclesiastico nazionale del CSI, don Alessio Albertini, regala a tutti gli allenatori un nuovo “decalogo dei mister”. In dieci punti, spunti di riflessione, semi di speranza, in un momento in cui ancora una volta lo sport è fermo e l’impegno dei tecnici appare vano, inefficace, distante come quei mosaici nello schermo oggi unici luoghi dove possono incontrare i loro ragazzi. Non più in area di rigore, nello specchio della porta, attorno al cerchio della metà campo, seduti in panchina…
Il decalogo è tutto proiettato al futuro e come inizio ha subito la ripartenza: l’arte del ricominciare «Non pensare, mister, che sarà tutto come prima. Probabilmente avremo a che fare più con la fragilità e i limiti che con la prestazione». Sì, lo sport richiede la capacità di raggiungere risultati, ecco allora il talento in soccorso. «I ragazzi torneranno in campo, ma più pigri, più fragili … e di queste ferite dovremo tener conto. La mancanza del gioco – spiega nei punti successivi don Albertini – è sì l’assenza del campionato, ma ancor più l’amico con cui condividere lo spazio e il tempo del divertimento. I ragazzi non sono fatti per isolarsi ma per relazionarsi e la vera felicità, è nascosta nel poter godere di qualcosa da condividere in maniera volontaria e libera. Imparando anche a vivere in pace, grazie anche al “vaccino” della gentilezza, che dà grandi risultati e previene i conflitti».
Ma la domanda più frequente, che dà anche il titolo, è sempre: Insomma “Mister, ma quando finirà…?”. Non è solo la curiosità di quando ricominciare ma soprattutto l’attesa di che cosa succederà quando torneremo al campo. Non basta «sapere quando ma anche come», sembra consigliare il sacerdote, assistente nazionale del CSI, pensando a cosa avremo da offrire a questi ragazzi spaesati, staccati, prigionieri della “sindrome della capanna”. Se infatti il continuo isolamento ha permesso ai giovani sportivi di difendersi dal male esterno senza dover rendere conto ad altri della propria vita, senza dover rischiare l’avventura in un mondo che non è più sicuro come prima, tuttavia noi mister «siamo chiamati sempre al rischio, alla fatica di prendere decisioni». E allora «dovremo aiutarli a non navigare nelle emozioni tristi, tenendoli per mano nel mare dell’incertezza».
Ma come? La risposta, senza misteri, negli ultimi punti del decalogo: «Come la volpe del Piccolo Principe capaci di addomesticarli, dando loro una nuova abitazione, dove sentirsi accolti, desiderati, sostenuti. Imparando l’arte di rincuorare, con pazienza e perseveranza, di infondere coraggio a chi è sfiduciato. Non farli più sentire soli».
Ecco infine altre due missioni per gli allenatori: quella di “ingioiare”, ornare di gioia la vita dei ragazzi ed essere dei “felicitatori”, ossia trasmettitori di gioia. «Chissà – domanda il don – perché continuiamo a dire che le cose serie e importanti della vita non possono essere accompagnate dal sorriso. Se infatti è impronosticabile la data prepariamoci già adesso a quel momento dandoci da fare perché, cari mister, la felicità non è una destinazione ma un percorso».