Mentre in Australia e Nuova Zelanda si disputano i Mondiali di calcio femminile 2023, gli attivisti e le attiviste della Campagna Abiti Puliti “scendono in campo” per far luce sulle responsabilità e lo sfruttamento nelle catene di fornitura dei più importanti marchi sportivi del mondo, anche principali sponsor della competizione: Adidas e Nike.
A Bolzano, grazie all’organizzazione partner OEW, e a Modena, grazie alla preziosa collaborazione di UISP, si disputeranno delle partite di solidarietà con i lavoratori e le lavoratrici tessili, per chiedere alle aziende di assumersi le proprie responsabilità e pagare finalmente quanto dovuto.
La maggior parte della produzione di Adidas e Nike avviene in Paesi in cui i sistemi di protezione sociale sono inadeguati, se non addirittura inesistenti. E questo per i lavoratori e le lavoratrici ha significato rimanere senza stipendio quando la propria fabbrica ha chiuso i battenti.
È il caso delle lavoratrici tessili cambogiane di 114 fabbriche produttrici di beni per marchi internazionali di moda e abbigliamento sportivo: secondo i calcoli dei sindacati e della Clean Clothes Campaign, aspettano ancora circa 109 milioni di dollari di salari sottratti durante la serrata nazionale di aprile e maggio 2021. Di questi, le perdite inflitte a 30.190 lavoratori in otto fabbriche fornitrici di Adidas dall’inizio della pandemia ammontano a 11,7 milioni di dollari, o 387 dollari per lavoratore. Mentre nello stesso periodo l’azienda tedesca accumulava 650 milioni di dollari di profitti (primo trimestre 2021).
Come se non bastasse, Adidas e i suoi fornitori derubano le lavoratrici anche quando le licenziano. Alle operaie della fabbrica Hulu Garment in Cambogia, licenziate nel 2020, non sono mai stati pagati 1,1 milioni di dollari di indennità di licenziamento, come previsto dalla legge. Questo furto di salario e di buonuscita si estende ben oltre la Cambogia, lungo tutta la catena di fornitura globale di Adidas.
Nike, da parte sua, deve circa 2,2 milioni di dollari di salari e indennità di licenziamento non corrisposti alle lavoratrici cambogiane e thailandesi. Nello specifico, alle operaie della fabbrica Violet Apparel, in Cambogia, di proprietà del principale partner produttivo di Nike, il Ramatex Group, spettano 1,4 milioni di dollari in benefici legali. Mentre alle lavoratrici della Hong Seng Knitting in Thailandia, costrette ad accettare permessi non retribuiti quando la fabbrica è stata chiusa temporaneamente durante la pandemia, spettano oltre 800mila dollari.
I casi di furti salariali e di licenziamenti non retribuiti, aumentati massicciamente durante la pandemia, non sono un fenomeno nuovo. Il problema è sistemico e quindi necessita di risorse adeguate e accordi vincolanti. Per questo, insieme a numerosi sindacati dei paesi produttori, chiediamo ad Adidas e Nike di firmare un accordo vincolante sui salari, sul trattamento di fine rapporto e sulla libertà di associazione per garantire che i lavoratori e le lavoratrici delle loro catene di fornitura non siano mai più privati del loro salario e del TFR.