Sport, discriminazioni e la responsabilità di guardare

Un insulto a bordo campo. Una minaccia travestita da battuta. Un verso imitato per umiliare un avversario. Basta poco, a volte, per far crollare l’idea che lo sport sia un luogo sicuro e aperto a chiunque. I fatti delle ultime settimane ce lo ricordano con chiarezza. E il problema non è solo quello che accade. È il modo in cui scegliamo – o rifiutiamo – di raccontarlo. Durante un torneo giovanile internazionale a Pordenone, un ragazzo viene chiamato “scimmia” da un avversario. L’intera squadra, per protesta, ha abbandonato il campo, perdendo così la partita a tavolino. Contestualmente sono stati squalificati sia il giocatore che ha proferito l’insulto razzista, sia l’allenatore.

Terni, invece, durante l’intervallo di una partita di calcio, l’arbitra di 17 anni vede irrompere nello spogliatoio il dirigente dello Sporting Terni che la insulta pesantemente, arrivando ad augurarle, tra le altre cose, di “fare la fine di Ilaria”, riferimento diretto a un femminicidio di poche settimane fa. Lei lo espelle e continua la partita. Lui, allontanato dal campo, continuerà a gridare insulti da lontano, addirittura abbaiando. In questo caso, il giudice sportivo ha squalificato il dirigente fino al 2028 e la stessa società si è dissociata. Ma non è un caso isolato. Da tempo, si legge in un articolo de La Stampa, in tante raccontano pressioni, intimidazioni, commenti sessisti ricevuti anche durante partite amatoriali o giovanili. La violenza non è sempre fisica, ma è continua: fatta di delegittimazione, isolamento, linguaggio ostile. E la questione non riguarda solo la tutela delle singole professioniste. Riguarda l’intero sistema sportivo, e la sua capacità – o incapacità – di garantire ambienti sicuri, rispettosi, formativi. Se una ragazza non può arbitrare una partita senza essere insultata, chi potrà sentirsi libera di provarci?

Questi episodi, infatti, non sono eccezioni. Sono frammenti dello stesso scenario. Le discriminazioni – razziste, sessiste, abiliste – non sono più (solo) nei gesti estremi. Sono nei dettagli. Nei silenzi. Nei linguaggi. Nelle cronache che scelgono cosa dire e cosa no. Per questo Uisp sta portando il progetto SIC! – Sport, Integrazione, Coesione, in collaborazione con UNAR e Lega Serie A, che mira a combattere ogni forma di discriminazione nello sport, con diverse iniziative di sensibilizzazione. Tra queste, c’è il video spot realizzato in collaborazione con Will Media, che spiega quanto sia importante educare tutti e tutte a riconoscere le discriminazioni e intervenire, denunciando chi le attua e supportando chi le riceve.

In questo contesto si inserisce anche il ciclo di workshop formativi, rivolti a operatori, operatrici e dirigenti Uisp, per fornire strumenti concreti nella lotta contro le discriminazioni. Il prossimo appuntamento, mercoledì 8 maggio alle 17, sarà dedicato proprio a razzismo e discriminazioni di genere, con la docenza di esperte delle associazioni GiULia giornaliste e Carta di Roma. L’appuntamento metterà al centro un nodo cruciale: il modo in cui parliamo di sport, di chi lo pratica, di chi lo racconta. Ogni parola, ogni immagine, ogni omissione contribuisce a costruire – o a ostacolare – un immaginario più giusto. Anche per questo la comunicazione diventa oggi un terreno decisivo nella lotta contro ogni forma di discriminazione. È lì che si annidano stereotipi apparentemente innocui, che finiscono per alimentare un senso comune tossico e resistente al cambiamento. È lì che il linguaggio può diventare alleato dell’inclusione – oppure ostacolo. Il progetto SIC!, attivo in 17 città italiane, promuove attività sportive inclusive, percorsi di formazione, campagne di sensibilizzazione e alleanze territoriali per contrastare le disuguaglianze a ogni livello. Il percorso si concluderà in concomitanza con le finali della rassegna Matti per il Calcio, evento nazionale che da anni coinvolge i Dipartimenti di salute mentale in una delle esperienze più significative della rete Uisp.

Non basta cambiare regolamenti. Serve cambiare prospettiva. Ascoltare. Raccontare meglio. E soprattutto, scegliere con cura le parole, perché da lì passa la possibilità di uno sport – e di una società – davvero inclusiva.

 

Lorenzo Boffa