
Il giudice nazionale deve valutare il carattere abusivo di una clausola del genere tenendo conto, in particolare, della sua chiarezza e della sua comprensibilità quanto alle conseguenze economiche dell’impegno…
Nel 2009 un giovane atleta minorenne, rappresentato dai suoi genitori, ha concluso un contratto con un’impresa lettone che offre agli atleti un insieme di servizi per lo sviluppo delle loro capacità professionali e della loro carriera. L’obiettivo di tale contratto era di garantire al giovane atleta una carriera sportiva professionistica di successo nel settore della pallacanestro. Detto contratto, concluso per un periodo di quindici anni, prevedeva un’intera gamma di servizi come, in particolare, allenamenti sotto la supervisione di specialisti e servizi di medicina dello sport, di accompagnamento psicologico e di supporto in materia di marketing, di assistenza giuridica e di contabilità.
Come corrispettivo il giovane atleta s’impegnava, qualora fosse divenuto un professionista, a versare a tale impresa una remunerazione pari al 10% di tutti i redditi netti provenienti dagli eventi di gioco, pubblicitari, di marketing e mediatici connessi allo sport di cui trattasi e percepiti durante la vigenza di tale contratto, a condizione che tali redditi ammontassero almeno a EUR 1 500 mensili. Considerato che i redditi generati dal giovane atleta, divenuto nel frattempo un giocatore professionista di pallacanestro, derivanti dai contratti conclusi con le società sportive, hanno raggiunto, in totale, un ammontare di più di 16 milioni di euro, egli sarebbe tenuto a versare il 10% di tale importo a detta impresa, ossia oltre 1,6 milioni di euro.
La controversia è stata sottoposta ai giudici lettoni, i quali hanno ritenuto che la clausola contrattuale in questione fosse abusiva. L’impresa di cui trattasi ha proposto ricorso per cassazione dinanzi alla Corte suprema lettone, che ha deciso di interrogare la Corte di giustizia a tal riguardo. Tale giudice chiede se la direttiva sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori 2 si applichi al contratto controverso e, se del caso, in che misura essa osti a una simile clausola.
Nella sua sentenza la Corte di giustizia conferma, anzitutto, che la direttiva è effettivamente applicabile a tale situazione. La Corte ricorda, tuttavia, che tale direttiva prevede che la valutazione del carattere abusivo di una clausola contrattuale che non sia stata oggetto di negoziato individuale non può vertere sulle clausole relative alla definizione dell’oggetto principale del contratto, né su quelle riguardanti la perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, e i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purché tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile. Ebbene, una clausola come quella di cui trattasi nella presente causa rientra in tale eccezione, sicché un giudice nazionale può procedere alla valutazione del suo carattere abusivo solo se ritiene che essa non sia formulata in modo chiaro e comprensibile. Nondimeno, il diritto nazionale può prevedere un livello di protezione più elevato per i consumatori. In tal caso, il giudice potrà verificare il carattere abusivo della clausola, anche se essa è stata redatta preventivamente dal professionista in modo chiaro e comprensibile.
Per quanto riguarda la questione se la clausola controversa sia redatta in modo chiaro e comprensibile, la Corte ricorda che la direttiva prevede anche un obbligo di trasparenza. In tale contesto, il consumatore deve ricevere tutte le informazioni necessarie per consentirgli di valutare le conseguenze economiche del suo impegno. In caso contrario, non si potrà ritenere che tale clausola sia stata redatta in modo chiaro e comprensibile.
La Corte aggiunge che una simile clausola, la quale prevede che il giovane atleta s’impegna a versare una remunerazione pari al 10% dei redditi che percepirà nel corso dei quindici anni successivi, non determina automaticamente un significativo squilibrio tra le parti. Infatti, la sussistenza di uno squilibrio del genere dev’essere valutata alla luce, in particolare, delle norme applicabili nel diritto nazionale in mancanza di accordo tra le parti, delle pratiche di mercato leali ed eque alla data di conclusione del contratto relative alla remunerazione nel settore sportivo di cui trattasi, nonché di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione del contratto e di tutte le altre clausole di quest’ultimo o di un altro contratto da cui esso dipende. Peraltro, la circostanza che il consumatore fosse minorenne al momento della conclusione del contratto e che quest’ultimo sia stato stipulato dai genitori del minore a suo nome è rilevante ai fini della valutazione del carattere abusivo di una simile clausola.
La Corte precisa, inoltre, che un giudice che abbia constatato il carattere abusivo di una clausola di un contratto concluso tra un professionista e un consumatore non può ridurre l’importo dovuto dal consumatore fino a concorrenza delle spese effettivamente sostenute dal prestatore di servizi nell’ambito dell’esecuzione di tale contratto.