Nel 447° anniversario dello Sbarco di don Giovanni d’Austria a Messina, l’associazione culturale Aurora anche quest’anno ha organizzato (è la decima edizione) in tre giorni la rievocazione storica di quell’evento che si è svolto nelle acque del Porto di Messina.
L’11 agosto si è conclusa la manifestazione che ha visto protagonisti oltre agli attori principali, 70 figuranti tra sbandieratori, musici e tamburi. Ha interpretato don Giovanni d’Austria l’attore messinese Umberto Vita. La sfilata finale è stata preceduta da due momenti culturali, il 7 e il 10 agosto.
La manifestazione si è conclusa con la passeggiata a mare, che ha visto l’arrivo del Corteo Storico-Navale, lo sbarco di don Giovanni e dei suoi ammiragli, con l’accoglienza del Senato messinese a don Giovanni.
Il corteo poi si è mosso per raggiungere Piazza del Municipio dove nella scalinata di Palazzo Zanca, c’è stato «il saluto del Senato messinese a don Giovanni d’Austria», con la solenne spettacolarizzazione del momento scenico con i sbandieratori, musici e il martellante suono dei tamburi. Sono seguite le premiazioni dei vincitori del Palio.
Applaudito lo spettacolo serale, il Cunto dei Cunti «Il titanico scontro tra Don Giovanni e Alì Pashà raccontato da Miguel Cervantes» interpretato dal maestro Gaspare Balsamo. Prima della conclusione della serata condotta dalla giornalista Letizia Lucca, sono stati ringraziati l’architetto Nino Principato regista dell’evento, il giornalista Domenico Interdonato e Andrea Parisi per la comunicazione e Sergio Indelicato, responsabile della logistica.
Qualche considerazione a margine dell’evento, certamente ben curato dagli organizzatori. Una manifestazione che meriterebbe una maggiore partecipazione di pubblico. Non conosco i canali utilizzati dall’associazione per pubblicizzare l’evento.
Sabato pomeriggio mentre mi recavo al punto da dove partiva il Corteo storico, nella piazzetta vicino alla fontana del Nettuno, ho visto una grande nave da crociera olandese attraccata al molo, chissà se i croceristi erano al corrente di questa splendida rievocazione storica. Non so se le scuole messinesi conoscono la storia di don Giovanni e quindi della battaglia di Lepanto e della manifestazione annuale che ricorda l’evento.
Un blog locale cercava di spiegare che cos’era la battaglia di Lepanto e cosa c’entra Messina con questa storia. Tenterò di spiegarlo in poche battute.
Siamo nell’estate del 1571, il mare Mediterraneo a poco a poco sta diventando un mare turco. Le navi dell’impero ottomano hanno occupato, dopo sanguinosi assedi tutte le isole dell’Egeo. Rimane soltanto Malta, «la caduta di Malta avrebbe aperto all’Islam le porte dell’Europa cristiana e probabilmente Solimano il Magnifico sarebbe riuscito a cogliere la mitica ‘mela rossa».
Per quanto riguarda gli assedi, ricordo quello di Cipro e l’epica resistenza di Marcantonio Bragadin a Famagosta. Qui i cristiani veneziani resistettero all’assedio per oltre un anno, tutti gli assalti dei turchi furono respinti.«Gli eroici difensori, benchè stremati e affamati (dopo aver divorato le cavalcature, si nutrivano ora dell’erba strappata dai muri), continuarono a combattere fra i cumuli di macerie prodotti dai grossi proiettili sparati dai basilischi».
I veneziani di Bragadin fanno la stessa fine di Niccolò Dondolo, anche questa volta furono imbrogliati, ad uno ad uno furono fatti a pezzi, fra gli schiamazzi e lo sguardo divertito di Mustafà.
A Bragadin i turchi gli riservarono una sorte atroce, un martirio a tempo, prima di essere scuoiato vivo, ha dovuto subire una serie di crudeli torture, dopo, «per volere del feroce comandante turco la pelle dello sventurato venne riempita di paglia e appesa al pennone di una nave». Infine i macabri trofei di Bragadin e i suoi ufficiali furono portati e mostrati al sultano a Costantinopoli.
A Costantinopoli, l’intento di conquistare l’Europa cristiana era sempre presente, il Gran visir Sokolli, nell’occasione della campagna militare contro l’isola di Cipro, incitava ad una fatwa: «è doveroso per un principe musulmano, riconquistare tutte le terre che facevano parte della dar al-Islam».
Per lo storico Arrigo Petacco non è tanto chiaro se in quel momento la sublime Porta volesse poi conquistare anche la Spagna, la Sicilia, la Calabria e la Puglia, che facevano parte dell’Islam. Tuttavia secondo lo storico Alberto Leoni, «è logico presumere che se quella grande battaglia navale (Lepanto) fosse stata vinta dai musulmani, il progetto espansionistico reclamato dalla fatwa del gran mufti si sarebbe realizzato con le conseguenze che possiamo immaginare».
Considerazioni da rivolgere a quelli che denigrano la Chiesa di quei tempi che benediceva le armi e la guerre sante, come ha fatto il papa di allora Pio V, il vincitore morale di Lepanto. Certo oggi è facile parlare di incontro e non di scontro tra popoli, ma allora era difficile “incontrarsi”, come si vede dai fatti storici. La Storia non va mai giudicata con i parametri di oggi.
Pertanto Pio V, il Papa di allora, riesce a convincere i principi cristiani del tempo e dopo una lunga e laboriosa disputa organizza una Lega Santa.
Pio V con la sua autorità, ha dovuto minacciare di scomunica per indurre i principi cristiani a costituirla.«Venezia e Spagna, le due uniche potenze mediterranee, erano comunque più che sufficienti per organizzare una flotta imponente. Tuttavia avevano aderito alla lega, oltre ovviamente allo Stato Vaticano, anche i Cavalieri di Malta, Genova, Firenze e il duca di Savoia».
Il 25 maggio 1571, fu proclamato nella sala del Concistoro, di fronte a un raggiante Pio V il “patto mediterraneo”, la cosiddetta Lega Santa. Fu deciso di affidare il comando al ventiseienne don Giovanni d’Austria. Oltre alla clausole politiche e militari, il trattato conteneva anche precise disposizioni religiose dettate dallo stesso Pio V, affinchè “quella guerra, la quale si intraprendeva per zelo dell’onore di Dio, fosse amministrata santamente”.
Si vietava di far salire sulle navi, giovinetti e soprattutto donne.“Il papa aveva reclutato molti frati – scrive Petacco – affidando loro il compito di seguire la flotta: i gesuiti sulle navi spagnole, i francescani e i domenicani su quelle genovesi, savoiarde e veneziane e i cappuccini su quelle pontificie”.
Per il concentramento delle navi fu scelto il porto di Messina. In questa guerra era importante il fattore morale scrive Leoni. “Per questo, dunque, era così importante che tutti gli appartenenti alla flotta cristiana coltivassero la propria fede nella preghiera e nella pietà reciproca”. Pertanto, “Don Giovanni, diede ordine di impiccare i bestemmiatori e coloro che scatenavano risse, in modo da avere decine di migliaia di uomini animati da un solo ideale”.
I grandi protagonisti di Lepanto.
Parto dal giovane condottiero a cui è stato affidato il comando militare della flotta cristiana, don Giovanni d’Austria, figlio dell’imperatore Carlo V e di Barbara Blomberg, conosciuta dall’imperatore a Ratisbona, dopo una vittoria contro i turchi di Solimano. Il giovane figlio di Carlo prese il nome di Geronimo, per tanti anni visse presso la corte spagnola e fu affidato a un intimo amico dell’imperatore. Nel frattempo Carlo V aveva abdicato lasciando il suo vasto impero al figlio Filippo II. Intanto il giovane fu ben educato religiosamente, culturalmente e soprattutto dal punto di vista militare. Dalla madre adottiva, ereditò una particolare devozione alla Madonna e l’amore per le epopee cavalleresche, in particolare alla leggendaria storia di El Cid Campeador, il campione cristiano della lotta contro i mori infedeli. Una volta riconosciuto come fratello da Filippo II, il giovane prende il nome di don Giovanni d’Austria e diventa “infante di Spagna”.
L’altro protagonista è il Papa Pio V, «il papa giusto al momento giusto», scrive Arrigo Petacco, nel libro “La Croce e la Mezzaluna”, Mondadori (2005).
«Mai come in quel momento la Chiesa romana aveva avuto bisogno della guida di un uomo come lui, risoluto, intransigente, animato da una fede profonda e deciso a farla trionfare contro tutto e contro tutti purificandola di ogni incrostazione». Antonio Michele Ghisleri poi Pio V faceva parte dei frati predicatori, domenicani mendicanti. Possedeva due sole tonache bianche, giusto per il cambio, si cibava di uova e verdure. Si sentiva di aver ricevuto dallo Spirito Santo una missione purificatrice, così «immerse Roma e l’intera curia in un bagno di austerità». Per fare questo ha scelto la maniera forte per ripulire il Vaticano. In quegli anni, a Roma, scrive Petacco:«tutti avvertivano quasi fisicamente la minaccia incombente sia dell’islam, sia della Riforma luterana e Pio V era ossessionato da entrambe le prospettive».
“Mamma li turchi”, era il grido d’allarme che si levava lungo le coste al frequente apparire dei vascelli barbareschi, ed echeggiava anche tra i saloni del Vaticano. Pio V da cardinale era stato catturato dai turchi, ma si era salvato, perché la sua bisunta tonaca domenicana, la sua vecchiaia e la sua ascetica magrezza, gli davano l’aspetto di un derelitto “invendibile”, così i corsari lo ignorarono e presero invece un suo nipote.
Finalmente il 16 settembre 1571, la flotta cristiana al completo si mosse da Messina, composta da 207 navi, i soldati di fanteria e gli archibugieri sui bordi erano complessivamente 28.000. I marinai erano 13.000 e i rematori 43.000. In tutto 84.000 uomini, considerando gli spazi delle navi dovevano essere stipati come sardine. «Una folla immensa assistette all’evento e deve essere stato uno spettacolo impressionante vedere l’interminabile corteo di galee che a vele spiegate scorreva lungo lo Stretto, mentre il nunzio papale, monsignor Odescalchi, impartiva la benedizione apostolica ai partenti da un brigantino». Per chi è vissuto o vive sullo Stretto può comprendere meglio lo scenario evocato dallo scrittore ligure.
Più o meno negli stessi giorni Alì Pascià, l’ammiraglio turco era giunto nella baia di Lepanto, sulla riva settentrionale di Patrasso. Complessivamente la flotta turca era composta da 222 galee e da 60 galeotte. I soldati erano 34.000, i marinai 13.000 e i rematori 41.000. Da notare scrive Petacco, «che sia nell’una che nell’altra flotta i rematori rappresentavano all’incirca la metà del personale di bordo». Il 7 ottobre dopo la Messa mattutina, la flotta ottomana apparve all’orizzonte, don Giovanni compì l’ultima ispezione allo schieramento su una veloce fregata, reggendo il crocifisso e incitando alla battaglia, poi salendo sulla nave ammiraglia la Real, “fece spiegare lo stendardo papale, color rosso e oro, sul quale erano ricamate le parole del primo inno di battaglia cristiano: ’In hoc signo vinces’”. I turchi furono sconfitti nonostante avessero più mezzi più uomini. Arrigo Petacco descrive dettagliatamente tutti i risvolti della battaglia navale, le varie “armi segrete” dei condottieri dal genovese Gianandrea Doria, al veneziano Sebastiano Venier e poi di quelli turchi, da Occhialì, ad Alì Pascià. Una battaglia straordinaria, definita da Miguel Cervantes, la “la mayor jornada que vieron los siglos”.
Alle quattro del pomeriggio di quella domenica del 7 ottobre la Lega Santa, risulta vincitrice. In un conflitto che metteva a confronto due civiltà: “Erano bastate appena cinque ore per cambiare il destino del mondo”. Papa Pio V celebrò un solenne Te Deum di ringraziamento e dispose che il 7 ottobre diventasse un giorno festivo dedicato alla Beata Vergine della Vittoria. Successivamente, trasformata nella festa della Beata Vergine del Rosario.
Domenico Bonvegna