Contro i disservizi della giustizia che costringono gli avvocati a passare nei tribunali e nelle cancellerie piú tempo di quello che sarebbe necessario se il sistema funzionasse in maniera efficiente, è inutile passare alle carte bollate chiedendo al Ministero di Via Arenula il risarcimento delle ore sottratte – dal dissesto organizzativo – al tempo libero e al riposo. La Cassazione ha, infatti, respinto il ricorso con il quale l’avvocato milanese Nicola Sculco chiedeva al Guardasigilli di essere risarcito per tutte le ore perse nelle lungaggini burocratiche. Ad avviso dei supremi giudici il "tempo libero" non è un "diritto fondamentale della persona" perchè è rimesso alla "esclusiva autodeterminazione del singolo" che deve scegliere tra "l’impegno instancabile nel lavoro e il dedicarsi, invece, a realizzare il proprio tempo libero da lavoro e da ogni occupazione". Pertanto, secondo la Cassazione non ha alcuna importanza "verificare l’entità esatta dei disservizi connessi all’attività di amministrazione della giustizia, nè quantificare in modo preciso il numero di ore che un avvocato è costretto ad impiegare nello svolgimento di attività che potrebbero essergli risparmiate in presenza di un sistema piú efficiente". Inoltre – proseguono gli ‘ermellini’ nella sentenza 21725 – "poichè l’avvocato è un libero professionista, puó ben scegliere e decidere la quantità degli impegni che è in grado di gestire in modo ragionevole". "Ossia egli puó dosare – spiega l’alta Corte – con adeguata organizzazione professionale ed avvalendosi dell’opera di collaboratori, il giusto equilibrio tra lavoro e tempo libero". "Gli esborsi che sarà chiamato a sostenere, anche in termini di sacrificio del proprio tempo libero, saranno posti, entro i limiti consentiti dalle tabelle professionali, a carico dei clienti che abbiano chiesto di avvalersi della sua opera", conclude il ‘verdetto’. Già nel 2011, la Cassazione aveva respinto un ricorso di Sculco contro la Telecom che gli aveva fatto perdere tempo con un tecnico che gli aveva dato informazioni sbagliate per far funzionare Internet. Nel 1999, invece, la Suprema Corte diede ragione al legale contro il fisco, affermando che in caso di ‘persecuzione fiscale’ è possibile chiedere, oltre alle sgravio dell’imposta non dovuta, anche il risarcimento dei danni per la ‘sopraffazione’ subita.