Da domani solo facce cerulee e visi spenti sul luogo di lavoro perché fare troppi scherzi al collega può costare il posto. È l’incredibile vicenda processuale accaduta a un lavoratore – rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” – a portare alla ribalta un tema “carnevalesco” che però non fa ridere, quello del limite tra scherzo che non va punito e scherzo che integra addirittura una conseguenza censurabile con la massima sanzione disciplinare: il licenziamento.La sezione lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza 2904, depositata il 13 febbraio, e guarda caso, proprio in pieno periodo di Carnevale, ha stabilito il principio secondo cui fare troppi scherzi sul lavoro costituisce un grave inadempimento degli obblighi di diligenza tale da legittimare il recesso datoriale dal contratto di lavoro. Nella fattispecie, il giudici di Piazza Cavour hanno accolto le doglianze dell’azienda e rigettato quelle del dipendente che aveva ottenuto dalla Corte d’Appello di Torino il reintegro nel posto di lavoro perché aveva rilevato che l’aver inserito carta e altro materiale di risulta nei sedili delle auto, durante le operazioni di assemblaggio eseguite da una collega, non poteva essere considerato una giusta causa di licenziamento. Ma i giudici di legittimità hanno ritenuto corretto ribaltare la sentenza della corte piemontese e dare ragione al datore di lavoro. Rilevano gli ermellini, che la sentenza impugnata «non solo ha accertato la sussistenza dei fatti e la commissione a opera del lavoratore, ma ha anzi accertato che fatti identici a quelli contestati fossero stati più volte commessi da questi in passato, ritenendo tuttavia difettare la proporzione tra i fatti contestati e la massima sanzione, opinando che essi fossero da imputare a “scherzi” compiuti soprattutto nei confronti dell’addetta ai controlli, evidenziando inoltre che tale comportamento non rientrava in alcuna delle ipotesi previste dal Ccnl quali causa di licenziamento».Ma la stessa decisione, secondo i giudici ha da una parte accertato che, anche per il notevole prolungarsi della condotta, questa «non può che qualificarsi come un grave inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza gravanti sul lavoratore subordinato; d’altro canto ha, però, escluso la legittimità della massima sanzione, qualificando i fatti come un presunto gioco o scherzo perpetrato nei confronti dell’addetta ai controlli».I giudici del Palazzaccio, al contrario di quanto ritenuto dalla corte di secondo grado, ha considerato l’ipotesi di danneggiamento volontario al materiale dell’azienda che, come previsto dal contratto nazionale, legittima il licenziamento. Comportamento che risulta poter concretare «anche quel grave nocumento morale o materiale per l’azienda, pacificamente previsto dall’articolo 10 del contratto nazionale quale giusta causa di licenziamento».