Gli italiani si fidano della nostra Intelligence. Sei cittadini su dieci si esprimono in tal senso. E ritengono si debba conoscere di più e meglio il ruolo del Sistema di Informazione per la Sicurezza della Repubblica nella lotta alle minacce di terrorismo e “lupi solitari”, cyberwar e attacchi al know-how delle nostre imprese.
L’indagine condotta dall’Eurispes conferma la crescente attenzione dei cittadini, e dei giovani in particolare, per i compiti e il lavoro del Comparto Intelligence.
Dunque il 62% degli italiani ripone fiducia nel Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Il livello di gradimento raggiunto dall’Intelligence presso l’opinione pubblica segna un balzo in avanti molto importante: la larga maggioranza dei cittadini indica un tasso di consenso diffuso ed elevato. La rilevazione è stata condotta dall’Eurispes su un campione di 1.121 intervistati, rappresentativo della popolazione italiana dai 18 anni in su per genere, età e area geografica.
L’ottimo risultato raggiunto è sicuramente influenzato anche dagli accadimenti recenti. Le minacce che derivano da una situazione internazionale difficile e dall’emersione di nuovi fenomeni di terrorismo – da quello molecolare alle minacce degli “uomini neri” dell’Is – stanno certamente orientando sempre più i cittadini verso una cultura della sicurezza partecipata, una maggiore riflessione del ruolo che i nostri Servizi hanno saputo ritagliarsi a livello internazionale e la consapevolezza di quanto valore abbia il loro lavoro, seppure scarsamente visibile, per la tutela e la difesa del Paese.
I canali attraverso i quali la pubblica opinione più spesso viene informata e si informa sul lavoro e sulle attività dei nostri Servizi è la televisione (35,5%). Seguono a distanza quotidiani e riviste (17,4%), le informazioni presenti sul Web (13,9%) e la programmazione radiofonica (13,6%). Minoritaria è la quota di quanti hanno tratto informazioni o notizie sull’Intelligence attraverso l’approfondimento e la lettura di libri o saggi. Non manca chi tratta l’argomento in maniera privata nelle conversazioni con amici o conoscenti.
La maggioranza dei cittadini in ogni caso sottolinea la scarsa chiarezza nella rappresentazione che i media forniscono rispetto al ruolo e alle attività dei Servizi per la sicurezza (72,6%); non solo, considerando il compito svolto in difesa della sicurezza nazionale, i mezzi di informazione dovrebbero parlarne di più dando maggiore spazio all’argomento per il 53,2% dei cittadini.
Il 31% degli intervistati ritiene che i Servizi lavorino dietro le quinte per garantire la sicurezza dei cittadini e il 17,7% afferma che il loro lavoro è scarsamente considerato, pur essendo molto importante.
Partendo dall’importanza delle attività svolte in difesa della sicurezza nazionale, la convinzione che questo sia un settore fondamentale per il nostro Paese (24,2%) e il desiderio di essere informati su tutto (29%) sono i motivi per i quali tali argomenti dovrebbero trovare uno spazio più ampio e una maggiore rappresentazione sui mezzi di informazione. Non manca comunque chi non ha alcun interesse per l’argomento (7,1%) e non ritiene quindi di dover chiedere una informazione più approfondita.
L’apertura alla società è il punto di svolta della nuova stagione dell’Intelligence 2.0. Anche grazie alla riforma del 2007, si è scoperta la “fruibilità sociale” dell’Intelligence, percepita come struttura di servizio al Paese e laboratorio di analisi per il decisore politico. Quella della fiducia conquistata sul campo, è la strada che gli 007 di casa nostra stanno percorrendo, ampliando gli spazi di interlocuzione con la società civile e i giovani, in particolare. Lo dimostrano il successo di iniziative come “Intelligence live”, il roadshow promosso dal Dis: un vero e proprio tour che da ottobre 2013 l’Intelligence porta avanti, tappa dopo tappa, nelle principali Università italiane.
Capacità di operare e collaborare in contesti stranieri: il merito della liberazione dei connazionali rapiti va ai nostri agenti segreti
Nel corso degli anni è accaduto che cittadini italiani siano stati rapiti in Paesi in guerra per mano di terroristi e successivamente liberati. Agli intervistati è stato domandato a chi, a loro giudizio, va attribuito il merito della liberazione e del rientro in patria dei nostri connazionali. Per il 22,3% il merito è dell’attività sotterranea dei nostri Servizi che hanno operato nelle zone calde; per il 21,8% delle forze e delle capacità delle nostre Istituzioni diplomatiche (Ministero degli Esteri, Ambasciate presenti nei diversi Paesi); per il 18,6% della capacità della nostra Intelligence di collaborare con i Servizi di altri Paesi. Il 10,6% cita invece il ruolo delle organizzazioni internazionali, il 7,9% l’azione diretta e i contatti dei capi di Governo. Un cospicuo 18,8% non è in grado di pronunciarsi in merito.
Benché gli intervistati citino l’operato di diversi soggetti all’origine della risoluzione dei casi di sequestro di cittadini italiani, prevalgono le risposte che attribuiscono un ruolo decisivo ai Servizi Segreti, da soli o in collaborazione con quelli degli altri Paesi.
Esperti cyber e le migliori menti dalle Università: il 36,5% approva la nuova strategia di reclutamento
Da tempo l’Intelligence recluta 007 anche all’interno delle Università tra gli elementi più preparati in discipline tecnico-scientifiche oltre che, come da tradizione, tra il personale delle Forze dell’ordine (Carabinieri, GdF, Polizia) e tra le Forze Armate (Esercito, Marina, Aeronautica). Per il 38,6% degli intervistati bisognerebbe creare un mix, potendo contare sull’esperienza delle forze di polizia e militari insieme a nuove figure professionali ricorrendo al serbatoio delle Università, dei centri di ricerca e anche ai concorsi pubblici; il 36,5% considera invece corretta la nuova strategia perché la nostra è ormai una realtà complessa e occorrono analisti, tecnici, informatici, studiosi delle diverse discipline (dagli esperti di cyber ai linguisti) che sappiano anticipare scenari politico-economici e contribuire a risolvere le situazioni di crisi; il 24,9% afferma, infine, che non è il modo corretto: occorrerebbe invece continuare ad utilizzare appartenenti alle Forze dell’ordine e militari perché quello dei Servizi Segreti è un mestiere pericoloso e loro sono più preparati.
Solo un quarto del campione si dimostra, dunque, nettamente contrario ad un più moderno metodo di reclutamento degli agenti. Due terzi degli intervistati sono convinti della necessità, per i Servizi di sicurezza, di aprirsi a figure professionali complesse ed eterogenee, capaci di far fronte all’ampia gamma di esigenze e richieste legate al ruolo.
Disco verde dalla famiglia se un figlio viene reclutato tra gli 007
Al campione è stato domandato anche come reagirebbe se il proprio figlio volesse entrare a far parte dei Servizi di informazione. Il 36,3% approverebbe senza riserve la scelta; il 16,9% la accetterebbe, pur disapprovando; il 12,6% la disapproverebbe. Il 6,8% afferma che sosterrebbe la scelta del figlio perché si tratta della carriera che egli stesso avrebbe voluto intraprendere a suo tempo. In molti però non hanno risposto alla domanda (27,4%).
Complessivamente quindi il 43,1% di quanti sosterrebbero il proprio figlio nell’intraprendere questo tipo di carriera prevale sul 29,5% che esprime un atteggiamento negativo, probabilmente anche per il timore che questa professione possa comportare dei rischi per l’incolumità personale e la necessità di lavorare all’estero per lunghi periodi.
Infine una curiosità: il personaggio di James Bond, nato dalla mirabile penna di Fleming e approdato alla versione cinematografica negli anni Sessanta del secolo scorso per arrivare ai giorni nostri con l’ultimo episodio in fase di realizzazione, è una pietra miliare nella rappresentazione letteraria dell’agente segreto. Nella maggioranza dei casi, gli intervistati riconoscono che questa è una figura romanzata, che ben poco ha riscontro con la realtà (47%), mentre sono in molti a ritenerla una via di mezzo, dove la finzione si ispira comunque alla realtà (30,5%).
Solo il 6,8% ha idea che Bond sia il prototipo dell’agente segreto e lo rappresenti in tutte le sue capacità e sfaccettature. Una parte consistente del campione non ha saputo o non ha voluto esprimere un giudizio al riguardo (15,7%).