Secondo le stime dell’Ilo, ai circa 3 miliardi di occupati nel mondo si contrappongono 197 milioni di disoccupati, con un tasso di disoccupazione che si avvicina al 6%. Rispetto all’anno precedente la crisi (il 2007), si contano oggi 30 milioni di disoccupati in più. Nel 2017 le cose non miglioreranno, anzi si aggiungeranno almeno altri 3 milioni di persone senza lavoro e si supererà in questo modo la soglia dei 200 milioni. Il moltiplicarsi dei conflitti locali, l’instabilità politica di molti grandi Paesi, i rischi globali come il terrorismo, negli ultimi due anni hanno ulteriormente depresso la domanda portando l’incremento del Pil mondiale al 3,1% di quest’anno, cioè lo stesso livello del 2015 e di poco inferiore a quello atteso per il 2017, che dovrebbe portarsi al 3,4%. La bassa crescita e una domanda che tende a ristagnare, anche per uno scarso contributo degli investimenti pubblici e privati, determinano così un complessivo eccesso di offerta che riduce i prezzi delle merci, delle materie prime e dei servizi, senza che ciò inneschi una maggiore propensione alla spesa, data la progressiva riduzione della remunerazione del lavoro. Secondo l’Ilo, a livello mondiale la quota del reddito da lavoro sul Pil si è ridotta al 65% contro il 75% che si registrava negli anni ’70.
Qualità delle risorse umane e attrazione degli investimenti. Una indagine del Censis presso un panel di responsabili di multinazionali, organizzazioni e media esteri presenti nel nostro Paese, realizzata per l’Associazione Italiana Banche Estere, ha indicato nella qualità delle risorse umane uno dei fattori che oggi rendono l’Italia più attrattiva nelle decisioni di investimento nel nostro Paese. Allo stesso tempo, hanno dichiarato che il sistema-Italia appare ancora penalizzato soprattutto dal basso livello di flessibilità del mercato del lavoro. Nel 2015 il flusso in entrata di investimenti diretti esteri si è attestato su 11,7 miliardi di euro, circa 1,2 miliardi in meno rispetto al 2014 e 2,9 miliardi in meno rispetto alla cifra raggiunta nel 2013. I flussi dall’estero si sono ridotti dal 5,3% al 4,3% del totale degli investimenti fissi lordi nel triennio. I flussi in uscita dell’Italia hanno mostrato una riduzione fino a 12,6 miliardi di euro, passando dal 5,5% al 4,6% degli investimenti fissi lordi totali. Nel 2015 il volume complessivo delle risorse estere investite in Italia si è attestato su 420 miliardi di euro. Nell’ultimo triennio la consistenza degli investimenti esteri è cresciuta anche per la debolezza del Pil italiano ed è pari al 25,6%, un valore che resta molto lontano da quelli relativi ad altri Paesi come la Francia (31,9%) o il Regno Unito (51,1%).
La nuova geografia del lavoro agricolo. Gli occupati nel settore agricolo hanno raggiunto nel 2015 le 910.000 unità, con un incremento in termini assoluti di circa 20.000 occupati rispetto al 2014 e di 18.000 rispetto ai due anni precedenti. Rispetto all’anno precedente, nel 2015 gli occupati aumentano del 2,2%. La crescita delle ore lavorate e delle unità di lavoro tende invece a consolidarsi a partire dal 2014: le prime aumentano nel 2014 del 2,1%, mentre nel 2015 l’aumento supera i 3 punti percentuali. Le seconde crescono del’1,5% nel 2014 e del 2,2% nel 2015. La tendenza positiva innescata nel corso del 2015 verrebbe confermata anche dai dati del primo semestre 2016. A livello nazionale gli occupati aumentano di 45.000 unità rispetto al primo semestre 2015. Da una recente indagine del Censis sulle imprese aderenti alla Confederazione Italiana Agricoltori emerge che tra i fattori che hanno contato di più nella scelta del lavoro agricolo, accanto alla tradizione familiare (52,6%), figura la grande passione (28,9%).
A casa nel mondo: il vissuto lavorativo e professionale degli italiani all’estero. A distanza di tre anni dalla precedente analisi, il Censis ha proposto allo stesso panel di italiani all’estero una serie di domande volte a ricostruire il vissuto lavorativo e professionale, e a tracciare l’immagine dell’Italia attraverso le lenti di chi ha lasciato il Paese negli ultimi anni. Il 62,7% considera stabile la propria presenza all’estero e intende continuare a vivere nel Paese di destinazione, il 6,2% è attivato per restare, il 22% non ha ancora progetti precisi. Rispetto a tre anni fa, l’area della stabilità si è estesa (allora la quota era paria al 55%), dando conferma di una crescente propensione degli individui a consolidare anche lontano dal Paese d’origine la propria esistenza. L’85,7% dichiara di lavorare: il 38,9% ha cambiato lavoro negli ultimi tre anni e una percentuale simile ha sperimentato nel triennio almeno un periodo di inattività. Il livello di integrazione raggiunto risulta soddisfacente per 8 intervistati su 10: la quota restante si distribuisce tra chi dichiara di avere ancora qualche difficoltà a integrarsi nel Paese in cui vive, mentre solo il 3,4% si sente poco o per nulla integrato. Chi non intende tornare in Italia rappresenta una percentuale del 31,5%, cui si contrappone un’area di persone, pari a poco più del 20%, che vede il ritorno in Italia come un possibile esito futuro anche a breve. La scelta di trasferirsi all’estero è in ogni caso una scelta che ha soddisfatto l’81,7% del totale e solo l’1,1% la considera una scelta sbagliata. Il 52,3% dei rispondenti si riconosce nell’affermazione che indica nell’Italia un Paese pieno di risorse, ma penalizzato dalla sua classe dirigente.
La lenta transizione del lavoro autonomo. Anche nel rallentamento della crescita economica, il lavoro autonomo si presenta come una valida alternativa al lavoro dipendente. Su 100 laureati italiani, circa 20 svolgono la professione in modo autonomo, contro i 13 della Germania, i 9 della Francia e gli 11 della media europea. Ogni 100 lavoratori autonomi con una età compresa tra 15 e 74 anni, in Italia ci sono 16 professionisti, contro i 14 della Germania, i 12 del Regno Unito e i 2 della media europea. Il decennio 1997-2006 è stato caratterizzato da un forte incremento degli iscritti agli Ordini e ai Collegi professionali: soprattutto architetti e ingegneri, ma anche giornalisti, psicologi, commercialisti. Nei successivi dieci anni la situazione inizia a capovolgersi: il numero dei laureati cresce di altri 2 milioni di persone, la coda della lunga rincorsa alla professione regolata continua a mostrare i suoi effetti, ma dal 2010 in poi il numero di professionisti in alcune professioni specialistiche appare stabilizzato, se non in contrazione. Negli ultimi anni il numero di nuove partite Iva in questo segmento professionale varia significativamente da anno ad anno. Il 2014 è stato caratterizzato da un incremento straordinario nell’apertura di partite Iva, dovuto all’introduzione con la legge di stabilità 2015 di un regime fiscale di vantaggio. Nel solo mese di dicembre 2014 il numero di aperture per il settore è stato pari a poco meno di 27.000 unità (contro le 1.936 dello stesso mese dell’anno precedente).