di Luca Basilio Bucca
L’effetto domino provocato dal “caso Weinsten” squarcia un velo fatto di “si dice” e “si intuisce” mostrando il volto turpe – non solo statunitense – di certo mondo dello spettacolo, ma anche di ambienti politici e più genericamente di potere.
Il fenomeno è realisticamente ben più esteso rispetto agli episodi denunciati e divenuti noti ed interessa certamente in maniera significativa anche altre realtà lavorative ed ambienti meno famosi e frequentati perlopiù da gente comune.
Si tratta di fatti rispetto ai quali le statistiche non riescono a fornire un dato esaustivo perché numerosi sono gli episodi che per vari motivi – paura, soggezione, vergogna – non vengono denunciati.
Ma al di là delle “memorie” di molestie – vere o presunte – che si susseguono ormai da oltre un mese e delle conseguenze – non principalmente giudiziarie soprattutto per i casi più risalenti nel tempo e meno circostanziati – che ne stanno derivando e che probabilmente ne deriveranno, ciò che più colpisce è osservare la reazione ipocrita di certi ambienti che non potevano non sapere e che adesso sembrano invece colti da una sindrome dissociativa acuta, o più semplicemente tentano di nascondere le proprie responsabilità.
Perché è facile oggi scandalizzarsi, è facile prendere le distanze e condannare, più difficile è indagarne le cause, comprenderne le dinamiche, ammettere che viviamo in una società ipersessualizzata, pornografizzata, dominata da una mentalità del piacere ad ogni costo, dove donne mezze nude ammiccano da cartelloni pubblicitari per incrementare le vendite dei prodotti più improbabili, dove magari quegli stessi giornali e programmi tv che fanno la morale al Weinsten di turno sono finanziati e sostenuti da certi ambienti che di certo libertinaggio sessuale ne hanno fatto più o meno apertamente una bandiera.
Ammettere ciò vorrebbe dire però mettere in crisi tante certezze, denunciare le bugie di chi spaccia per libertà ciò che libertà non è e per bene ciò che risulta invece essere pernicioso, prendere le distanze nei fatti da personaggi a dire il meno ambigui, riformare il proprio stile di vita, in conseguenza di ciò probabilmente vedersi chiudere porte ed opportunità che presuppongono l’accettazione di determinati “modi di fare”.
Andando oltre i proclami, chi avrà il coraggio di farlo?