Quando ero un ragazzino, e cominciavo ad osservare il mondo della politica, mio padre -più che altro incredulo che così giovane potessi star dietro a cose del genere- mi raccontava che nel paesello dove abitavamo e dove lui e io eravamo nati, quando c’era il Fascismo (anni 30 del secolo scorso, quando mio babbo andava al liceo) c’era un fervente agricoltore antifascista che aveva chiamato i figli, rispettivamente, “Bandierarossa” la femmina e “Primomaggio” il maschio.
Ma non mi disse nulla sulle eventuali difficoltà o opposizioni dell’ufficio anagrafe per registrarli. Al Comune presero atto della volontà dei genitori, lo fecero e basta. Poi, ovviamente, mi accennò alle difficoltà che questo fratello e sorella ebbero nella vita sociale ma, a parte i documenti e momenti ufficiali, sembra che se la cavassero bene con dei diminutivi. Ma mai nessuno -anagrafe, benpensanti e fascisti (che comandavano)- ebbero da ridire su questa scelta dei nomi.
E’ cronaca di questi giorni le traversìe che una famiglia di Milano sta vivendo per aver deciso di chiamare la loro bambina col nome “Blu”, giudicato maschile dall’anagrafe e dallo stesso tribunale di Milano che, per l’identificazione di genere, ha imposto ai genitori la scelta di un altro nome marcatamente femminile. A parte lo stupore per cotanta iniziativa in un mondo amministrativo dove l’irruzione della estetica e della cultura Lgbt ha un suo giusto spazio… chissà i commenti in Germania (essenzialmente e non solo) per tutte le fraulein che si chiamano Andrea, che, finendo con la “a”, non sarebbe poi tanto strano che sia scelto per una femmina, ma qui é maschile… ma, anche se siamo entrambi sotto il cappello Ue, la Germania é lontana.
Ma le cronache non smettono di stupire, quasi come la stupidita’ -istituzionale in questo caso. Un bimbo che oggi ha 14 mesi, babbo di cognome Mussolini, nato e registrato a Parma col nome Benito, trasferitasi la famiglia a Genova, il tribunale ligure ha deciso di convocare il portatore principale di cotanto cognome impegnativo per dirgli che, anche se il bimbo ha ereditato il cognome del nonno (non quello famoso di Predappio, ovviamente), non va bene. Curiosi, aspettiamo cosa ci farà sapere lo scrupoloso giudice genovese.
L’episodio della mia infanzia si rifà a circa un secolo fa, quando le libertà individuali erano decisamente compromesse, in un contesto che portò il nostro Paese nelle mani dei nazisti e nella tragedia della seconda guerra mondiale. Gli altri due sono cronache dei giorni nostri. Si stava meglio quando si stava peggio, quando i famosi treni attivavano in orario e -come ci hanno detto alcuni genitori- si era tutti piu’ felici (confondendo la felicità del loro essere giovani col benessere, la libertà e le opportunità)? Ovvia risposta a questa domanda…. ma il dubbio é legittimo, anche se solo in termini culturali e metodici. Perchè, in termini istituzionali (e anagrafici e giuridici), ma perché qualcuno non continua a farsi i cazzi propri, confondendo questi ultimi come sostanza della propria funzione pubblica? Sai quanto si vivrebbe bene se, in una società di altruismo istituzionale ed umano, ognuno comunque si facesse i cazzi propri… e sai quanti procedimenti in meno relativi alla privacy, etc?
Da irriverenti quali siamo, siccome ci sembra di vivere in una realtà figurata ed iconica, ci consuma la curiosità di sapere dove Dante Alighieri avrebbe messo, nella sua Divina Commedia, la piccola Blu, il piccolo Benito, i (chissà se sono ancora vivi) fratelli Primomaggio e Bandierarossa. Ma siamo certi che nel piu’ recondito dei gironi infernali ci sia posto per i giudici di Milano e Genova, mentre gli impiegati dell’anagrafe degli anni 930 del paesello mio e del mio babbo saranno sicuramente in Paradiso.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc