Diciamo la verità il Covid 19 non ha avuto soltanto effetti funesti, ma paradossalmente ha aiutato a comprendere lo “stato di salute” di gran parte dei nostri giovani. In particolare di quelli che ogni sabato sera affollano le movide delle nostre città.
Dal Parlamento fino ai media il dibattito è abbastanza infuocato, i giovani sono stati messi sotto accusa dai vari amministratori locali che temono di veder vanificato per colpa loro, il lavoro di questi mesi per evitare il contagio coronavirus.
In questi giorni è apparso un interessante studio del professore psicoterapeuta Claudio Risè sul quotidiano La Verità. Che cosa sostiene Risè: la movida, «non può essere risolta con esortazioni paternalistiche e norme di polizia […] Essa non è solo terreno di coltura del Covid 19, come della maggior parte dei virus e batteri che hanno impestato il sud Europa da quando nacquero le movide, ma uno dei principali protagonisti dello stile di vita dell’Europa triste e malata di passività e stanchezza».
(Claudio Risè, “Dal regime sanitario di Giuseppi non si esce con la sbornia da movida”, 24.5.2020, La Verità)
Il professore evidenzia l’incoerenza di certi amministratori locali, che si indignano perchè i giovani non rispettano le regole. Tra questi in testa c’è il sindaco di Milano Giuseppe Sala, che ora si “incazza” perchè i giovani affollano i Navigli: proprio lui si dovrebbe ricordare quante volte ha esaltato la vivacità della movida milanese come segno dell’‘avanzamento’ della città. Sono in tanti gli amministratori che dovrebbero fare mea culpa, soltanto per gli effetti sanitari, che colpiscono questi giovani come i gravi disturbi psichici, epatitici, cardiaci e di diabete.
Sono stati proprio loro i politici ad apprezzare e lodare le movide, che, «sono parte integrante (come i fritti di pipistrelli o di zibetti di Wuhan) del tempo della pandemia, ma prima ancora delle canne e del Kiss the devil che si stava cantando all’inizio della strage al Bataclan di Parigi. Sono le forme – scrive Risè – con le quali le nuove generazioni dell’Europa più priva di forze e idee hanno cercato di tenere insieme divertimento e disperazione».
Pertanto per superare virus e movida secondo Risè «è necessario alzare lo sguardo al di sopra delle norme di polizia, verso i principi fondativi della stessa convivenza sociale, che ha ben poco a vedere con il peana strettamente utilitario del ‘distanziamento sociale’ che oggi tanto eccita gli attuali reggitori del potere, essi stessi parte integrante della stessa compagnia di giro di cui fa parte la movida».
La movida è nata in Spagna ai tempi del governo socialista Gonzales, in 40 anni non ha espresso né in Spagna, né altrove personalità artistiche rilevanti. Il motore delle movide sono «l’alcol e le droghe, con il sesso come rinforzo». Le forze dell’ordine che stanno sulle strade possono offrire materia di studio.
Per avere maggiori ragguagli, Risè cita i film del noto regista Pedro Almodovar dove si intravedono quei stili di vita, quel modo di vivere e divertirsi nella disperazione. Niente di nuovo per lo psicoterapeuta è il nichilismo odierno, che non ha mai fatto felice nessuno. «Il nulla non nutre né il corpo né l’anima; e le sue compagne abituali, le droghe e l’alcol, non migliorano certo la situazione […] Né l’edonismo, la ricerca sfrenata del piacere, è in grado di rimediare la mancanza di senso della vita, che si nutre di appartenenze autentiche e di un impegno sincero e non di maniera nel viverle».
Il professore insiste, le movide non sono solo il risultato di indisciplina personale, «ma della bancarotta culturale, spirituale e formativa dei paesi occidentali dove sono state incoraggiate (in particolare nel Sud Europa), con costi sociali e umani altissimi: le numerose vittime del Covid 19 tra i loro frequentatori ne sono l’ultima manifestazione».
Il professore Risè continua a deprecare gli effetti delle movide che «si sono rivelate come una delle sovrastrutture sociali più pericolose del nostro tempo, capaci di corrodere anche fisicamente zone integre e forti, come si è visto in questa ultima epidemia in certe zone della provincia bergamasca che ne sono state devastate».
Dunque per una vera “ripartenza” fuori dalla pandemia cinese, uscire dalla sottocultura della movida sarà un elemento indispensabile non tanto semplice da realizzare. Per farlo da un lato occorre uscire dal paternalismo poliziesco dei Giuseppi, dall’altro dall’«indifferentismo etico di quei primi cittadini che scambiano per progresso la perdita dei valori e delle tradizioni di cui sono essi stessi espressione».
Per una vera rigenerazione post pandemia serve una nuova classe dirigente, ma soprattutto occorre un nuovo senso della vita per se stessi e per la società con riferimenti al trascendente (valori religiosi e filosofici). Servono «motivazioni forti e nutrire volontà capaci di andare oltre al piccolo cabotaggio dell’interesse individuale, che ha invece strangolato negli ultimi anni la respirazione della vita personale e pubblica in Italia, e in buona parte dell’Europa».
DOMENICO BONVEGNA
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