La pandemia da Covid-19 ha avuto pesanti ripercussioni in tutto il mondo e non solo sui pazienti colpiti dal virus. Anche il nostro Servizio sanitario nazionale ha dovuto fare i conti con il coronavirus. Sono stati molti gli interventi di chirurgia rimandati, numerosi i pazienti ancora in attesa di essere operati. Uno dei settori più in difficoltà è stata certamente quella dell’ortopedia. L’agenzia Dire ne ha parlato con il professor Paolo Tranquilli Leali, presidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia (Siot).
Gli interventi protesici, calcola Tranquilli Leali, “nel 2019 sono stati oltre 220.700, secondo il nostro output una crescita pari al 5% in media degli ultimi dieci anni, perché siamo una popolazione che invecchia e abbiamo bisogno più frequentemente di una riparazione. L’anno scorso ne abbiamo persi circa 150.000, ne abbiamo cioè operati circa 70.000. E’ un qualcosa di drammatico, anche in considerazione del fatto che ci stiamo riferendo solo alla protesica. Ciò significa che quest’anno abbiamo in attesa l’output, che è indipendente dagli eventi, di 220.700 pazienti stimati, ai quali ne aggiungiamo altri 150.000: arriviamo, dunque, a circa 400.000 interventi”.
Tranquilli Leali denuncia inoltre che “le sale operatorie lavorano a scartamento ridotto perché non abbiamo gli anestesisti che sono utilizzati per le rianimazioni e abbiamo necessità di tecniche di sanificazione più prolungate. La nostra potenza di fuoco si è ridotta al di sotto 50%. Questo vuol dire che per smaltire questi numeri ci vogliono quattro, cinque anni, tempi disumani”.
Una situazione, di fatto, che si ripercuote in maniera negativa sulla salute dei cittadini. “Principalmente sotto due aspetti -sottolinea il presidente Siot -il primo è quello fisico, perché la sofferenza non è mai un qualcosa di dovuto o di meritevole o un qualcosa che ci fiacca. Consideriamo l’aspetto della protesica: una persona che deve sottoporsi ad un intervento di sostituzione di un’articolazione lo fa perché quella articolazione non l’aiuta più, forse la persona ha difficoltà anche a spostarsi in casa, dal bagno alla cucina, alla sala da pranzo. O se esce, difficilmente farà più di 100 metri, certamente non potrà fare attività fisica, è gravemente invalida dal punto di vista fisico”. Questo aspetto è legato a doppio filo ad un altro, anch’esso estremamente negativo, quello psicologico.
“Noi ortopedici -prosegue – siamo in grado di dire al paziente che gli interventi sono fermi, ma non sappiamo dargli le tempistiche. Io li chiamo i ‘pazienti dimenticati’: bloccati in attesa dell’operazione, non sanno a chi chiedere, cosa domandare e non ricevono risposte. Questo richiede uno sforzo enorme da parte di tutti noi, ortopedici e istituzioni, perché stiamo lasciando nella sofferenza e nel disagio psicologico le persone anziane. Non dimentichiamoci, infatti, che il 50% delle protesi che operiamo sono per persone che hanno più di 70 anni, sono quindi anziani fragili”.
Quali sono le soluzioni proposte dalla Siot? “A marzo -racconta -durante un’audizione presso la XII Commissione del Senato per il Piano nazionale di resilienza e ripresa, abbiamo presentato una serie di progetti. Uno di questi è il Progetto 1,3,5 di stratificazione dei fattori di rischio dei pazienti in lista d’attesa per arrivare ad individuare coloro che possono essere operati in un giorno di degenza, in tre, in cinque o in 15 giorni”.
“Non si tratta di stabilire un record -precisa -ma dobbiamo far sì che i pazienti siano sereni, seguiti nel migliore dei modi e non corrano alcun pericolo, proprio per ridurre al massimo la degenza in ospedale e i rischi, perché oggi, purtroppo va detto, un buon 10% dei pazienti ha paura di entrare nelle strutture sanitarie e di essere nuovamente a contatto con il medico. Dobbiamo quindi far superare le paure e accelerare la potenza di fuoco. Non potendo costruire ospedali e assumere migliaia di medici, l’unica cosa da fare è quella di ridurre al massimo le degenze ed aumentare l’output del sistema”.
Ma in quale modo la Siot ha ovviato alla pandemia? Quali misure di sicurezza sono state prese per fronteggiare il Covid? Tranquilli Leali spiega che “le difficoltà sono state molte. La prima fra tutte quella legata alla separazione dei percorsi del paziente non Covid, paziente Covid, paziente sospetto Covid, le famose aree grigie. Abbiamo i percorsi verdi, rossi e intermedi ma è tutto molto difficile. E’ una situazione che ha comportato molte difficoltà”. “Abbiamo passato una vita a fare Linee guida per dire che una frattura di femore nell’anziano, di collo del femore, deve essere operata al massimo in 48 ore -afferma -. Ci siamo dimensionati sul sistema nazionale, arrivando anche al 60% di attività entro le 24-48 ore. Ma quando giunge un paziente, la prima cosa da fare è un tampone Covid, poi dobbiamo attendere la risposta, ricoverarlo e ripetere un altro tampone. Ecco qui che le 24 ore sono belle che trascorse”.
La Siot è testimonial della campagna vaccinale anti Covid. “E’ una campagna -dichiara Tranquilli Leali -che ora sta funzionando sempre meglio. Siamo orgogliosi di poter mettere a disposizione isole vaccinali in tutti i nostri congressi in presenza, quando riprenderemo a novembre, perché riteniamo che la vaccinazione sia l’unica arma che oggi abbiamo a disposizione e dobbiamo senza paura accettarla e promuoverla. Le cose stanno migliorando, anche se non siamo ancora usciti dalla problematica del rallentamento, perché non abbiamo ancora raggiunto l’immunità di gregge”.
Presidente, quali sono le previsioni per il 2021? “Mi sento un elargitore di oroscopi, nessuno dei quali ha previsto la pandemia – risponde sorridendo il presidente Siot – e questo dovrebbe far riflettere quanti basano la propria vita su quello che ascoltano dall’oroscopo mattutino. Non vorrei fare la stessa fine. Posso però dire che la nostra prospettiva è basata su questo: selezione dei pazienti, potenziamento delle strutture, differenziazione più organizzata fra diversi sistemi della sanità che agiscano su paziente, coordinamento fra di loro e potenziamento del sistema territoriale. La chiave di volta consiste nel ridurre la degenza in ospedale, aumentare la potenza di fuoco chirurgica dei nosocomi e, allo stesso tempo, assistere meglio i pazienti in casa, nel proprio domicilio, dove tutti stiamo meglio e dove tutti recuperiamo di più. Si tratta di cose virtuose, che possono far risparmiare molto al Servizio sanitario nazionale e tutto quello che proponiamo come risparmio auspichiamo venga poi investito sul territorio”.