Ci sono libri speciali che solitamente vanno letti d’estate, durante le vacanze, sia al mare che in montagna. Infatti ho appena finito di leggere e studiare (solitamente sottolineo i miei libri, aggiungendo considerazioni) l’ottimo libro di Rino Cammilleri, “Doveroso elogio degli italiani”, Rizzoli super BUR (2001). E’ un elogio, un’apologia del Paese Italia, degli italiani, o meglio di quegli italiani che hanno fatto la Storia.
Il libro di Cammilleri è un profluvio di nomi, più o meno conosciuti, di uomini e donne, che per le loro gesta, scoperte sono entrati nel guinnes dei primati. Quello di Cammilleri è un libro in controtendenza che viene presentato da Franco Cardini, un fiorentino fazioso e fegatoso, uno che non ama tanto il cosiddetto Risorgimento, e che potrebbe essere definito “antitaliano”. Considerazioni peraltro che potrebbero valere anche per lo stesso Cammilleri, basterebbe leggere la sua sintesi storica per gli studenti, “Fregati dalla scuola”, (Effedieffe). Comunque sia scrive Cardini: «con un’ostinazione e una genialità analitica in tutto degna delle tradizioni della sua terra, il siciliano Rino Cammilleri – poliedrica personalità di studioso, romanziere, cantautore e polemista – percorre enumera non solo le ragioni di un nuovo Primato degli Italiani, ma anche quelle per le quali dovremmo una buona volta davvero spogliarci d’uno dei tratti più sciocchi del nostro provincialismo, quello che ci fa sistematicamente denigrar noi stessi nella misura in cui esaltiamo e ammiriamo gli altri».
Certo nel pamphlet di Cammilleri possiamo trovare forzature e provocazioni, dove non tutto è convincente e condivisibile. Tuttavia una buona idea potrebbe essere quella di farlo leggere nelle scuole, almeno utilizzarlo come sana provocazione, visto che spesso con rassegnazione non si fa altro sostenere o pensare che siamo “inferiori” a tutti gli altri popoli. Anche se per Cardini,“le nazioni pure non esistono. Tutte le tradizioni e le identità sono imperfette e meticciate”. E tuttavia guardando all’Italia, possiamo scrivere: “la nostra comune ricchezza, la nostra risorsa straordinaria, sta proprio sta proprio nella nostra infinita varietà”.
Certamente un libro così non poteva che scriverlo uno che ama la polemica, che con i suoi libri ha la pretesa di riscrivere la Storia. Ed è proprio la Storia che viene indagata nelle pagine del “Doveroso elogio degli italiani”, non solo quella che riguarda l’Italia. «Siamo i soli al mondo a praticare il vizio dell’autodenigrazione, – scrive Cammilleri -, senza mai sostituirlo con la virtù dell’autocritica». Da questa indagine emerge che gli italiani, in assoluto, sono i veri protagonisti in tutti i settori, pertanto le frasi come è “inutile, siamo in Italia” o “all’italiana” per indicare qualcosa fatta male, inefficiente, corrotta, non ha senso.
Nell’introduzione si precisa che il testo non vuole cadere nell’eccesso opposto di uno sciovinismo fuori luogo, si intende indagare sul popolo italiano guardando i fatti, i documenti, lasciando da parte le teorie.
Comunque sia, lo scopo del libro, «sta nel cercare di far recuperare un certo orgoglio delle proprie radici, ottimo tonico per i momenti di sfiducia. Senza questo recupero non si potrà guardare al presente e al futuro, né si avrà voglia di rimboccarsi le maniche per risolvere i problemi dell’ora presente». Il lettore di questo libro percepirà tranquillamente che il nostro popolo è da tanto tempo molto migliore dei suoi capi. E qui si aprirebbe un delicato discorso sull’attuale classe dirigente, priva delle più elementari risorse.
Allora si chiede Cammilleri, c’è qualcosa di intrinsecamente negativo nel Dna degli italiani? Dai risultati che emergono in questo libro, non è proprio così, anzi.
Da quello che abbiamo letto si può tranquillamente sostenere che senza gli italiani, il mondo non sarebbe lo stesso, forse potrebbe essere ancora all’età della pietra. E’ una affermazione forte? Sovranista? Facciamo qualche esempio. Tra le più importanti invenzioni italiane, per rimanere all’epoca greca-romana, Cammilleri fa riferimento alla dentiera, inventata dagli etruschi, il teorema di Pitagora e il principio di Archimede. E poi ai bagni termali, e all’uso del calcestruzzo a Napoli. Il calendario “giuliano”, che poi sarà sostituito da quello gregoriano (ancora valido) nel 1582 dal papa Gregorio XIII. I romani inventano tante cose, che sarebbe lungo elencare.
Nel IV secolo dopo Cristo, la Chiesa introduce il Natale, nell’XI secolo a Bologna nasce la prima università, in Toscana si utilizza la forchetta. Guido d’Arezzo idea la moderna notazione musicale. Nel XIII secolo compaiono in Italia le prime bombarde e le prime armi da fuoco. Nasce il calcio fiorentino. A Pisa compaiono i primi occhiali. Nel XIV secolo Filippo Brunelleschi e poi Leon Battista Alberti elaborano e codificano le regole della prospettiva. Il toscano Bernardo Buontalenti inventa il gelato. Giovanni Boccaccio crea la novella.
Nel XV secolo a Venezia compare il primo anello di fidanzamento con diamante. A Genova la prima banca moderna. Nel XVI secolo a Venezia nascono i pantaloni. Gaspare Tagliacozzo esegue il primo trapianto di pelle. Gerolamo Fracastoro individua per primo le malattie infettive.
Nel XVII° secolo Galileo inventa il cannocchiale astronomico e crea il metodo scientifico moderno. Evangelista Torricelli, il barometro. Santorio Santorio, il termometro. Nel XVIII° secolo, Bartolomeo Cristofari costruisce il pianoforte. Il XIX° secolo c’è una una miriade di invenzioni, dove si ha l’imbarazzo di scegliere. Per esempio Angelo Secchi scopre le protuberanze solari. Scipione Riva Rocci inventa lo sfigmanometro. Luigi Negrelli progetta il canale di Suez. Carlo Lorenzini (“Collodi”), scrive Pinocchio, il libro più tradotto dopo la Bibbia. E poi il XX° secolo, uno per tutto Guglielo Marconi, la radio. Enrico Forlanini l’aliscafo. La Milano-Laghi è la prima autostrada del mondo.
I diciotto capitoli del pamphlet che possono essere letti singolarmente, hanno «la sola ambizione di indurre gli italiani a spogliarsi del vizio dell’autodenigrazione per sostituirlo con la virtù dell’autocritica». Certo potrà apparire anacronistico oggi far riferimento alla virtù dell’autocritica, tuttavia dobbiamo provare a ribaltare un certo modo di pensare.
Cammilleri è categorico nelle sue tesi sugli italiani e soprattutto sul nostro Paese. Abbiamo «il sospetto che forse abitiamo in una terra baciata dalla Provvidenza, che l’essere nati qui e non altrove ci faccia in qualche modo speciali». A questo proposito quando insegnavo, ai ragazzini più maturi, cercavo di spiegare che noi italiani siamo fortunati di essere nati nel Paese più importante del pianeta. Tra i tanti motivi spiegavo che abbiamo una grande Storia, basta osservare i nostri reperti archeologici, la nostra arte, i nostri monumenti. Per convincerli delle mie affermazioni, disegnavo il grafico a torta alla lavagna, dove evidenziavo che l’Italia possedeva oltre il 60% del patrimonio artistico mondiale. Inoltre vivevamo in un Paese che dal punto di vista ambientale e climatico, è forse il migliore. Non abbiamo un clima eccessivamente caldo o freddo. Altro fattore importante per il nostro Paese è quello di avere quell’uomo vestito di bianco, il Papa, il vicario di Cristo, quello che ha cambiato il mondo. Pertanto concludevo che forse per tutto questo sarebbe opportuno ringraziare la Provvidenza che ci ha fatto nascere in Italia.
Naturalmente sostenendo queste tesi non significa rinfocolare un nazionalismo becero, da cui ci sentiamo lontani (nella storia recente questa ideologia ha causato montagne di morti come nella 1 e nella 2 guerra mondiale).
Ritornando al libro, Cammilleri per scriverlo si è avvalso di Italian first, un libro di un uomo di affari italiano, Arturo Barone. E’ un testo dove si elenca i primati italiani ad uso degli inglesi. Il libro è una miniera di informazioni utilissime, utilizzate da Cammilleri.
Il testo non ha voluto fare un elenco asettico dei primati italiani, ma li ha inseriti nella Storia del nostro Paese, sfatando il più possibile la“leggenda nera” di alcuni passaggi storici importanti. Infatti ci sono diversi interventi di riscrittura della Storia, raccontando semplicemente la Verità. Del resto era Jaques Cretineau-Joly che aveva detto, “l’unica carità concessa alla Storia è la Verità”. E allora attenzione ai nostri sussidiari, che sembrano pari pari come se li avesse scritti Voltaire: «una bella cosa finchè c’erano i romani, poi la lunghissima parentesi dei ‘secoli bui’ medievali, lo sprazzo del Rinascimento, la decadenza senza rimedio. Solo nell’Ottocento, grazie all’aiuto di Francia e Inghilterra, ‘s’è desta’. Ma per destarsi del tutto ha dovuto prendere a cannonate il papa». Pertanto l’Italia dopo notevoli sforzi era diventata scrive Cammilleri WASP (white, anglo-saxon and protestant), cioè era entrata nel club dei paesi “civili”, “avanzati”, poi è arrivato il fascismo e l’ha ripiombata nel Dio-patria-Famiglia.
Certamente non si può non affrontare il tema della Chiesa, dei Papi che vivono a Roma e del loro rapporto con il potere temporale. Di tutti i Papi anche quelli più discussi come Alessandro VI, il Borgia. Ma poi ce ne sono altri, magari non troppo noti, che hanno fatto grande la Chiesa. Categoricamente Cammilleri scrive, «dall’Italia viene la maggior parte dei santi, dei teologi, dei fondatori di ordini religiosi, è in Italia la Chiesa[…]». Quindi si può scrivere che «il numero dei santi italiani è triplo di quelli francesi, quattro volte maggiore di quelli tedeschi e cinque di quelli inglesi». Cammilleri se ne intende di santi, per decenni ha curato una rubrica quotidiana sui Santi su Il Giornale. Oltre a scrivere diversi libri sui santi.
Se queste sono le premesse, si ricava che gli italiani sono davvero brava gente. Da aggiungere che parecchi «Santi italiani non si limitarono ad essere brave persone ma crearono opere notevoli a beneficio dell’umanità tutta. Pensiamo, ad esempio, a un san Girolamo Emiliani, fondatore di orfanotrofi, a un san Camillo de’ Lellis, inventore degli ospedali moderni, a un san Giovanni Bosco, che se fosse ancora vivo non ci sarebbero gli ultras negli stadi, tossicodipendenti e stragi del sabato sera».
Senza tediare troppo il lettore, Cammilleri cerca di sfatare la leggenda, la favola, troppe volte ripetuta da certi storici: l’Italia ha tanti problemi perchè non ha avuto la Riforma luterana, la Rivoluzione francese, «eventi senza i quali siamo condannati ad essere sottosviluppati rispetto alle nazioni nordiche».
Il capitolo VII e l’VIII elogiano in particolare Roma e l’Italia. Rispondono al “Chi siamo?” Da quando siamo italiani? Dal 1870 è un’altra storia, significa che inizia con il trionfo del liberalismo? E’ «un’operazione che ricorda l”anno zero’ di tutti i totalitarismi. Anche i giacobini, i sovietici, i nazisti e i fascisti datavano la loro intronizzazione». Ma questa è una riduzione che ci umilia diceva giustamente Galasso. No siamo italiani da molto tempo, e «anche nelle epoche di maggior frammentazione, Medioevo e Rinascimento, non cessammo di sentirci italiani:Dante, Petrarca, Machiavelli e Guicciardini stanno lì a dimostrarlo (anche se furono preceduti, proprio nel loro campo, da san Benedetto e san Francesco, i primi a usare ufficialmente l’italiano “volgare”)».
Grazie ai monaci, a san Benedetto che abbiamo la cultura, lo studio dei libri. I monaci «inventarono ciò di cui non possiamo fare a meno: la razionalizzazione del tempo, gli orari fissi, la puntualità, la ragioneria, le tecniche di conservazione del cibo, l’erboristeria medicinale». Già nell’XI° secolo, scrive Cammilleri «le città dell’Italia settentrionale avevano superato l’Europa d’oltralpe sia in termini culturali sia come progresso materiale». Ma poi con i soli Dante e Boccaccio avremmo avuto il massimo della cultura. Infine le università italiane, erano universali, accoglievano tutti, «credo e nazionalità non rappresentavano in Italia un ostacolo». Camilleri ricorda che il massimo esponente della cultura scozzese, Thomas Dempster, cercò una cattedra a Pisa.
Ma proviamo a immaginare cosa sarebbe oggi il mondo se gli italiani non ci fossero mai stati.
«Uno si sveglia la mattina? Se ha una radiosveglia, si ricordi di Marconi. Beve il caffè? Cela va sans dire: Napoli ne è la capitale. Legge il giornale? La ‘gazzetta’ è nata a Venezia. Prende l’auto per andare al lavoro? Il motore a scoppio l’ha inventato l’abate Bersanti […]». Di questo esercizio c’è più di una pagina, fino all’invenzione della forchetta.
Bisogna rivedere tante cose secondo Cammilleri,anche quelle questioni più scabrose, vedi burocrazia, criminalità, le questione sessuale. Il libro di Cammilleri offre una miriade di notizie curiose e interessanti per noi italiani. E se gli italiani non hanno il primato per qualcosa, sono subito secondi, come per la ferrovia Napoli-Portici. Tuttavia «non c’è disciplina o arte in cui gli italiani non abbiano detto la loro prima degli altri. Anche le più moderne, come l’antropologia, l’etnologia o la filosofia della storia, che hanno il napoletano (ancora un meridionale) Giambattista Vico come papà». Addirittura Cammilleri può scrivere che se qualcosa non l’abbiamo inventato, senza di noi sarebbe rimasto un semplice divertimento, passatempo.
Naturalmente sulla cucina non abbiamo rivali, almeno questo lo sanno tutti. E poi altra categorica tesi: in Italia si vive meglio. Sono in tanti nel passato e nel presente a scegliere il nostro Paese.
Senza gli italiani la vita non sarebbe la stessa, né per lunghezza né per qualità. Mi sto riferendo alla scienza, alla matematica, la disciplina più esatta che esista (cosa che fa a botte col luogo comune che vuole l’italiano pressappochista e superficiale). Inoltre Cammilleri fa notare che il nostro Paese non ha prodotto ideologie (i cosiddetti ismi). «Di questo ringraziamo Iddio, perchè i vari Rousseau, Hegel, Marx hanno prodotto tali mari di lacrime e sangue che ancora oggi c’è chi si chiede se gli ismi abbiano arrecato un effettivo progresso o se era meglio occuparsi d’altro». Secondo Cammilleri, gli italiani come ha mostrato nel libro amano la creatività, le cose belle e pratiche. Insomma, gli italiani, «le utopie le lasciano volentieri agli altri».
Concludiamo facendo riferimento al più grande elogio dell’Italia che possiamo leggere. Si tratta della grande preghiera per l’Italia del 18 marzo 1994 di Giovanni Paolo II. Qui il papa polacco ricorda il ruolo singolare del paese in cui viviamo. «Non ci stupirà abbastanza delle disposizioni della divina Provvidenza, che volle condurre Pietro direttamente da Gerusalemme, attraverso Antiochia, qui a Roma […] Oggi non possiamo fare a meno di ringraziare Dio per questo patrimonio di fede e di cultura, che è stato posto alle basi della storia d’Italia […] Ci rendiamo conto con chiarezza del fatto che la divina Provvidenza per mezzo di Pietro ha legato in modo particolare la storia dell’Italia con la storia della Chiesa, come per mezzo di Paolo l’ha congiunta anche con la storia dell’evangelizzazione del mondo intero».
San Giovanni Paolo II esortava a non smettere di ricordare quanto questo popolo cristiano italiano, «ha rappresentato attraverso i secoli per la Chiesa e per il mondo. Questo popolo, con la sua tradizione mediterranea, e con le sue ascendenze greco-romane, questo popolo protagonista di eventi di carattere decisivo per la storia umana, sta davanti a noi».
DOMENICO BONVEGNA
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