
Eccola la notizia sensazionale che nessuno sta dando, tranne Il Foglio e qualche blog come atlanticoquotidiano. “Da due giorni si assiste a uno scenario inedito: centinaia di palestinesi protestano a viso scoperto contro Hamas”, scrive Sharon Nizza su Il Foglio (Gaza vuole liberarsi di Hamas, 27.3.25, Il Foglio) “Le manifestazioni sono iniziate martedì a Beit Lahia, nel Nord della Striscia”.
L’innesco delle manifestazioni sono dovute al fatto che il 18 marzo l’Idf, l’esercito israeliano ha ordinato di evacuare la città, in seguito al bombardamento per il rifiuto di Hamas di liberare gli ostaggi. “La protesta è stata piuttosto spontanea, il risultato della immensa frustrazione che viviamo a Gaza”, dice al Foglio, Ahmed Radi’aa, insegnante di 47 anni, che ha perso diversi famigliari in bombardamento israeliano. Continua Ahmed, “Le persone hanno raggiunto il punto di non ritorno ed è sempre più chiaro a tutti che paghiamo il prezzo di una guerra che iniziato Hamas con una decisione unilaterale […] scendo in piazza perchè chiedo che Hamas esca completamente di scena con le sue armi e con il suo governo politico”. Quel primo raggio di luce dalle proteste anti-Hamas a Gaza. Si può forse iniziare a sperare, con una forte dose di ottimismo, in un “25 aprile” palestinese? Se lo chiede Cookie Schwaeber-Issan.
Le manifestazioni si sono estese anche in altri luoghi della Striscia. Gli uomini di Hamas, che non si aspettavano manifestazioni così aperte, per questo hanno manganellato i manifestanti. Nello stesso tempo, hanno attivato la macchina della propaganda: “Hamas sta cercando di distorcere la narrazione, sostenendo che le dimostrazioni sono contro Israele, piuttosto che contro l’organizzazione, tentando di confondere”, spiega Ahmed. Peraltro, ci tiene a chiarire che, “queste proteste sono contro l’oppressione, la tirannia e il furto di aiuti e mezzi di sostentamento diretti ai civili da parte di Hamas”. Che la narrazione sia manipolata è evidente e qui l’articolista de Il Foglio, ricorda come il 7 ottobre 2023, il canale di Muthanna o di altri canali amici dei terroristi facevano la cronaca live dei rapimenti al Kibbuz Nir Oz insieme agli assalitori palestinesi di Hamas. Naturalmente il grande alleato della narrazione manipolatoria è Al Jazeera, che non dà spazio alle manifestazioni contro Hamas. Nell’intervento Sharon Nizza, fa un elenco dettagliato delle organizzazioni partecipanti alle manifestazioni di protesta. Hanno partecipato diversi clan e capi di famiglia, che hanno apertamente chiesto la resa di Hamas. Un altro uomo palestinese Said (nome fittizio) ha detto al Foglio che ci sono diverse sacche di ribellione contro i terroristi, ma c’è ancora paura, chi dissente viene gambizzato, o addirittura ucciso. Tuttavia persiste la volontà di ribellarsi ad Hamas. Said è convinto che metà della popolazione di Gaza è d’accordo con il Piano di Trump, il “Tahijr”. “L’unica soluzione per noi in questo momento è uscire”. “Se i Paesi arabi aprissero le porte, come è stato per i siriani, noi ci fionderemmo” subito. Ma l’Egitto solo per uscire da Gaza chiede 5.000 dollari. Intanto rileva Nizza che negli ultimi mesi all’estero sta prendendo corpo una serie di iniziative di dissidenti arabi liberi, come quella della Center for Peace Communication, che raduna tutti i dissidenti dal mondo arabo e nello stesso tempo cerca di dare voce a chi dentro Gaza cerca di resistere ai terroristi. Poi c’è l’organizzazione Realign for Palestina guidata da Ahmed AlKhatib. Questi dissidenti devono affrontare una doppia sfida, per la della narrazione, sono stati accusati prima come traditori quando erano a Gaza, ora anche vengono accusati dai propal che dicono di difendere la causa palestinese. E’ un paradosso: “E’ come stare tra l’incudine e il martello”, dice Ahmed, dove l’incudine è Hamas da cui sono scappati e il martello è il cosiddetto mondo propal. In pratica per aver criticato Hamas sono bollati come palestinesi al servizio di Israele. Ci sono tanti tabù da sfatare a cominciare da quello che è vietato criticare i palestinesi di Hamas quando commettono atrocità non solo contro gli israeliani, ma anche contro gli stessi palestinesi. Ahmed critica apertamente i propal occidentali, che utilizzano slogan senza conoscere la realtà di Gaza. Esiste,“una dissonanza incredibile tra la narrazione nel mondo occidentale – con gli slogan ‘dal fiume ala mare‘, o “sionismo è nazismo’, che legittimano Hamas – e quello che invece pensano i palestinesi dentro Gaza, che vorrebbero liberarsi di questo regime che li ha portati al collasso”. Tuttavia, “il mondo propal gioca sulla pelle dei palestinesi”. Aggiunge Kamel. “Il nostro obiettivo è quello di partare avanti una nuova narrazione pubblica”, spiega Hanza. “Battersi per il diritto all’autodeterminazione di Gaza, ma liberi da Hamas, dal Qatar, dall’Iran”.
Delle manifestazioni nella striscia di Gaza ne ha parlato anche atlanticoquotidiano (Natham Greppi, Ecco le voci palestinesi che accusano Hamas, 29.3.25, atlanticoquotidiano.it) “centinaia di palestinesi hanno accusato l’organizzazione terroristica di essere responsabile dei loro problemi e hanno chiesto di smetterla con la guerra contro Israele”. Atlantico fa parlare Mohammed Al-Tous, un terrorista redento: “Oggi dico ai miei nipoti di non seguire la strada degli attentati e della resistenza”, lo ha dichiarato in un’intervista rilasciata il 31 gennaio all’emittente statale saudita Al-Arabiya. Al-Tous, 69 anni, è uno dei più anziani prigionieri liberati nell’ambito del precedente accordo di cessate il fuoco per il rilascio degli ostaggi a Gaza. In un’altra intervista ha criticato la leadership di Hamas quando gli è stato chiesto cosa ne pensasse dell’attacco del 7 ottobre, ha detto: “Se avessi saputo quale sarebbe stato il prezzo della mia libertà, sarei rimasto in prigione. (…) Un leader che sta pensando di effettuare un attacco su larga scala deve essere consapevole del prezzo da pagare. È inaccettabile che il costo del nostro rilascio dal carcere sia anche solo una goccia di sangue di un bambino palestinese.
Dalle proteste alla cooperazione
Nel corso della guerra a Gaza, Ahmed Fouad Alkhatib ha perso decine di parenti sotto bombardamenti israeliani. “Ogni volta che condivido questa storia, la gente presume che io sia consumato dalla rabbia, desideroso di vendicarmi dei responsabili. Devo disprezzare tutti gli israeliani e considerarli miei nemici giurati”, ha scritto nel giugno 2024 sul sito americano The Free Press. “Nonostante la mia profonda frustrazione e risentimento per le azioni del governo israeliano e la guerra in corso a Gaza, non lo faccio. Semmai, sono più critico nei confronti di alcuni attivisti filopalestinesi, molti dei quali stanno peggiorando le cose, mettendo sempre più in pericolo le persone che affermano di difendere. In effetti, direi che alcuni non sono poi così interessati al benessere dei palestinesi”. Alkhatib, racconta del tentativo di progettare un aeroporto nella Striscia di Gaza che “avrebbe potuto dare alle persone la possibilità di entrare e uscire da Gaza e garantire una certa libertà di movimento ai palestinesi intrappolati dal blocco nella Striscia”. L’iniziativa aveva riscosso un certo interesse nel governo israeliano. “Ciò che mi mancava”, ha spiegato, “era il sostegno degli attivisti filopalestinesi. Si sono opposti ai miei sforzi, perché la cooperazione avrebbe semplicemente fatto fare bella figura a Israele. (…) Per loro questo non era accettabile, anche se il popolo palestinese ne avrebbe tratto beneficio. Alcuni credevano che con la libertà di movimento molti abitanti di Gaza avrebbero scelto di andarsene, realizzando così il complotto sionista di svuotare la Striscia dei suoi abitanti, sostenendo in altre parole che la prigionia degli abitanti di Gaza servisse ad “una causa più grande”. Alkhatib non riusciva a credere a quello che sentiva: “Intrappolare le persone a Gaza andava bene perché ciò rendeva più facile smascherare e attaccare Israele? Che tipo di causa può fondarsi sul costringere la propria gente a rimanere in perenne miseria così che gli attivisti occidentali potessero condannare più facilmente i loro avversari?”. Un altro esponente della dissidenza palestinese è il giornalista, Ayman Khaled, noi, “Abbiamo bisogno di promulgare una legge che ritenga Hamas e coloro che hanno partecipato al 7 ottobre responsabili. È anche necessario congelare i fondi di Hamas, che ammontano a miliardi, e stanziarli per la ricostruzione di Gaza”. Il dissenso viene colpito anche in Italia. L’avvocatessa Ilaria Celledoni, portavoce delle donne del Pd in Friuli Venezia Giulia, avendo condannato Hamas ritenendola responsabile dei problemi dei palestinesi, ha ricevuto numerosi attacchi e minacce. Risultato: i vertici regionali e nazionali del suo partito ne hanno preso pubblicamente le distanze e sollevata dal suo incarico. A breve l’espulsione dal partito. Perché in un’area politica che ha fatto della causa palestinese e dell’antisionismo una sorta di religione dogmatica, questo è ciò che accade agli eretici.
DOMENICO BONVEGNA
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