Dopo la morte di Moro, rapito dalle Brigate Rosse, dopo la caduta del muro di Berlino, che fece venire meno l’Europa a due dimensioni, dopo l’11 settembre, che presagì l’imprevedibile tragedia nel mondo occidentale, oggi la drammatica e contagiosa vicenda del Covid-19 rimarrà uno dei momenti memorabili della mia generazione.
Avremo fatto una esperienza che vede l’uomo nella sua dimensione mitica, laddove la storia sembrava essere sul finire ed invece ricominciava il suo inesorabile cammino. Così, attraversandola, desidero cominciare ad immaginarla come fosse già in fase di superamento. Non è solo ottimismo, né una mentalità fatalista a ispirare questo mio sguardo oltre l’ostacolo, ma è una visione secondo la quale il divenire della tecnica, ogni qualvolta l’uomo ha bisogno di aiuto, mette in moto meccanismi virtuosi in cui l’intelligenza creativa riduce il rischio, ottiene performance imprevedibili e mette l’uomo vitruviano a realizzare il meglio di sé.
La mia è solo l’impressione di un ‘non addetto ai lavori’, non certo un virologo, né ovviamente un tuttologo, è solo l’idea di un umanesimo che non si arrende di fronte ai luoghi comuni e girandosi all’indietro vede solo il percorso che l’umanità ha compiuto lungo i secoli, ovvero quello della scoperta attraverso il cogitare, che impregna la vita di tracce e di soluzioni, di innovazione e di desiderio di andare in profondità alla ricerca del tempo perduto con l’ambizione di trovare un approdo ed un opportunità di fronte ad un dramma.
L’uomo al cospetto del dramma ha sempre reagito o con la malinconia poetica, o con l’arte ispirata dai mecenati, oppure, nell’era della tecnica, come momento in cui il divenire dell’uomo si impegna a lasciare traccia della sua presenza significativa: quella che vuole ‘rafforzare l’uomo con la propria mente’ come diceva lucidamente Byron. Questo è l’itinerario dell’uomo nel suo incedere storico, in cui il problema spinge verso la sua soluzione, dove una visione dinamica mantiene alto il cammino verso la ricerca continua, dove i limiti vengono superati, dove Prometeo, impersonando il mito, si fa uomo che risolve e scioglie nodi.
Certo in tutto questo si afferma la competenza, la tecnica, l’amore per la scoperta, ossia quell’impronta che proviene dal messianico Achab, che nel suo mirabolante inseguire Moby Dick, appartiene agli animi nobili, che non si fanno schermo con le bugie, ma che colgono le occasioni per dimostrare che le paure possono essere utili quando ci costringono a superare noi stessi e mettere in luce la concreta applicazione dell’intelligenza, che non si distrae con i balocchi. Di fronte a questa esperienza la politica si manifesta per intero con tutti i suoi limiti, con un approccio random, con buona volontà, che attende il tempo che passa e che la scienza sia capace di tracciare con prudenza e sagacia la via, che, attraversando il tunnel, porti alla luce.
Roberto Severo